494 che le anni ungheresi scacciarono dal suolo della pairia, e ch'esse inseguiranno, se occorre, fin sotto le mura di Vienna. E però, una parte ragguardevole delle forze di Radetzky rimane annullata; ed il resto, che non ignora le disposizioni di quella fraziou delT esercito, se ne trova d’altrettanto scorato ed indebolito. In tal condizione, l’esercito imperiale è a discrezion dell’Italia. Un buon esercito cinge la frontiera del Piemonte, ed aspetta con impazienza il momento di ricattarsi degl’inesplicabili rovesci, a’quali soggiacque. All’altra estremità, sull’Adriatico, Venezia, che sola potò conservare il vessillo dell’indipendenza italiana, minaccia del continuo un de’fianchi di Radetzky. In fine, la popolazione lombarda, che scacciò una volta gli Austriaci, che vide con orrore il loro ritorno, tutti i sentimenti e tulli gli interessi della quale sono brutalmente calpestali, accoglierà la notizia della ripresa della guerra, e renderà malagevole e pericolosa la difesa imperiale. Tali forze, delle quali si può ora disporre contro un nemico, che perde in pari tempo la miglior parte delle sue, sapranno farsi sgombra la strada. Al primo soffio della rivoluzione, nel mese di marzo, la Lombardia scosse il giogo. Un’insurrezione nelle vie di Milano scacciò l’aquila imperiale. In un batter d’occhio, quel grande esercito, il quale si vantava, pochi mesi prima, di penetrare sin nel fondo dell’Italia e di reprimervi ogni rivoluzione, si trovò rispinto sino al piede delle montagne. Gl’Italiani possono dunque tutto ciò che vorranno; e se, di recente, si trovarono deboli dinanzi il ritorno oifensivo del loro nemico, bisogna accagionarne piuttosto lo sparpagliamento delle loro volontà, che la potenza e la perizia del Generale austriaco. Oggidì, il soffio rivoluzionario ricomincia a farsi sentire, e seco porta, come il primo giorno, la speranza del trionfo e della liberazione. La bilancia pende di nuovo dal lato del popolo italiano. La fortuna abbandona la causa dell’imperiale fantoccio, che già due volte lasciò la sua capitale come fuggiasco. E, senza dubbio necessario uno sforzo per discacciare i dominatori stranieri; ma l’esito di tale sforzo è certo, e sarà decisivo. L’Italia farci da sé; or torna il momento di mantenere questa nobile e ferma parola. La mentita, che gli ultimi avvenimenti le diedero, sarà, se si vuole, gloriosamente disdetta. Sì, l’Italia andrà debitrice della sua indipendenza a sè stessa. Il rapido movimento delle rivoluzioni riconduce le cose al punto dond’esse preser le mosse; ciò che non si è potuto, nel mese di marzo, si può oggidì e più facilmente ancora ; la controrivoluzione credeva d’aver ottenuto un vantaggio diflinilivo, ponendo il piè sul collo all’Italia: ma ecco che la democrazia alza altrove vittoriosa la testa, e si dee tutto ricominciare. I re tesson la tela di Penelope; un’ora del domani distrugge tulio il lavoro dell’oggi. Gli Italiani debbono lasciare che il governo francese prosegua la sua muta e placida mediazione. Tocca ad essi troncar la questione, e rendere ogni mediazione superflua,, impossessandosi diffinitivainente del pegno della battaglia. Tal pegno è l’Italia settentrionale, la sua indipendenza, la sua libertà, la sua gloria, la proprietà sua; ed ei ben merita che gli uomini