246 bene, e confessino l’ipocrisia politica e l’inganno non tornare n vantaggio che dei principi; quali fan le viste di secondare ciò che rimane in loro balìa di distruggere a miglior tempo. E ci torna lieto, in mezzo alle battiture della fortuna e alle comuni distrette, annunziare a tutt’ i circoli d’Italia come il nostro concetto di accentrare in Venezia le varie forze della nazione va acquistando l’autorità d’un fatto, e tale da promettere efficaci e liberi risultamenti. All’assemblea de’profughi veneti, sola ed irrecusabile rappresentanza delle provincie occupate, ora s’aggiunsero i profughi lombardi, sicché uniti ne’medesimi fraterni intendimenti potranno deliberare intorno ai loro interessi. Il nostro Circolo a meglio conseguire il suo intento accolse fra se uomini di tutti gli Stati d’Italia, i quali consacrarono con la vita povera e intemerata e con lungo ed infelice amore alla loro terra il diritto di vigilarne gli aspettati destini. Ora le ragunanze degli altri Stati di Italia, intese al nostro medesimo fine, debbono accorrere alla santissima impresa; per la quale raffidali gli animi che oramai non sanno a chi più aggiunger fede, il mondo dovrà persuadersi, quanto sia deforme dalia volontà de’gabinetti quella de’popoli, e come non sarà ferma pace in Europa, se l’opera de’protocolli non venga ratificata dalla sanzione dell’Italia democratica. Perciò la nostra Venezia seconda con piena ed intrepida fede il sacro proposito. Il nostro popolo, ridesto alla veneranda santità delle tradizioni, sente il debito di rispondere al suo portentoso passato con la virtù del sacrifizio, coll’allegra fermezza negl’imminenti pericoli. Simbolo guerreggiante della libertà d’Italia, Venezia, ancorché stremata, è parata a proteggerla contro ogni maniera di attentato che mirasse a recarle offesa. Stretti dall’austriaco che manomette le nostre terre, dubitosi del pane che debbe sfamare le nostre famiglie, noi tuttavia guardiamo allo miserie di tutta Italia. Dai comuni dolori noi caviamo argomento di co-saggiosa perseveranza, meglio che dai monumenti testimoni dei secoli caduti. E il giorno in cui lo sdegno della fortuna e il furore de’ poteri congiurati venisse a soverchiarci, di Venezia non sopraviverebbe altro che un nome tremendo d’insegnamento ai popoli venturi, e via per le meste lagune, sulle quali torreggiano ancora le glorie del passato, non s’ alzerebbe altro che un melanconico gemito, il quale direbbe al mondo, come Venezia, anziché tornare ancella , si sommergeva con la sua libertà in quel mare onde traeva la culla. Questo indirizzo, accollo con reiterati applausi, fu quindi approvato per acclamazione. Il capitano Blordini, membro del Comitato direttore, delle cui opinioni si dichiara lo spositore, intrattiene l’adunanza con un discorso, nel quale esaminati gli alti del governo dell’ 11 agosto, ne inferisce essere il medesimo circondato da una camera nera, la quale ne inceppa il movimento, ne raltiene lo slancio sublime del 22 marzo, e gli fa disconoscere la sua origine rivoluzionaria, che da Venezia doveva spargersi per tutta Italia. Si duole, che siansi conservati al loro posto tutt’ i vecchi impiegati, che sia stata quasi annullata l’opera tanto reclamata del Comitato di di-