US 27 Ottobre. (dall’ Indipendente) I GRANATIERI ITALIANI. Scrivono da Vienna 6 ottobre alla Concordia: Di tutta la truppa di cui l’Austria forse ancora per poco tempo può andar superba, il corpo dei granatieri italiani è certo che maggiormente risplende. Il granatiere italiano si potrebbe a ragione chiamare l’aristo-crato del militare: non solamente per denaro, di cui ognuno, per un militare, è bastantemente fornito, ma più ancora per intelligenza, per superiorità nel maneggio delle armi, per un certo non so che che tiene in rispetto le altre truppe, che dà a pensare ai suoi superiori. L’Italiano è militare sotto le armi: fuori di servizio è un bravo: alla sua disinvoltura nel camminare, alla maniera con cui porta il berretto, al suo gestire parlando per le vie, si conosce il granatiere italiano tra mille della medesima arma, di differente paese. Nobile del suo pensare, retto nei suoi giudizii, conscio di esser uomo pria che servo soldato, non patisce ingiusti comandi, rintuzza l’ingiuria se anche fosse nel suo comandante istesso, l’italiano non oblia la vendetta; compagnevole, allegro, si attira l’universale simpatia. La rivoluzione d’Italia inasprì i loro ceppi: gemevano di non poter concorrere in soccorso ai loro fratelli, alle loro famiglie, giacche il granatiere italiano ha una famiglia, un letto dove riposarsi e morire; ai 13 marzo lanciatili contro al popolo Viennese e comandato loro di far fuoco, è opinione generale nel popolo che abbiano fatto fuoco in aria: d?allora in poi il granatiere italiano fu il compagno dello studente, l’amico del borghese, la simpatia di lutti. Di tutti no, che d’allora in poi, ad ogni piccolo movimento, venivano comandati nelle caserme, nè si lasciano uscire se non dopo sedato il tumulto. Inaspriti per si dura ed ingiusta schiavitù, pensarono al dì in cui forse si avrebbero dovuto far strada fra masse di armati per ricovrare la libertà: avvezzaronsi a maneggiar coila sinistra il pugnale, e nella destra il ben noto schioppo armato di acuta baionetta, e, coiys en avant, gettarsi sulla folla, vincere o morire. Nuova gloria e bella fama acquistaronsi i granatieri italiani il a ottobre. A dieci ore antimeridiane comandato il battaglione qui stazionato di partire a due ore con vascello a vapore in soccorso del Bano della Croazia, del vicari » reale per F Ungheria, Transilvania, ecc., barone Jellachich, Attila II; al momento della partenza rifmlaronsi di partire: gli Italiani risposero ni comandi del capitano: gli Italiani non dimenticano il sangue dei loro fratelli, dei loro padri, sparso proditoriamente per la man dei Croati: gli Italiani non possono essere li amici, il sostegno dei barbari carnefici delle loro famiglie, e noi saranno mai!! — Questa mattina (G ottobre) un reggimento d’infanteria d’innanzi, un distaccamento di corazzieri alle spalle furono scortali fino alla déburcadìre della strada ferrata del nord, e di là via trasportati. Ma il popolo, l’amico degli Italiani (giacché le masse in generale son sempre buone, non sono egoiste, ma pensano ed oprano col cuor sulla mano, e se qualche volta si fanno barbare, sono i re che ve le costringono, è il soffio pestifero dei « per la grazia di Dio » che corrompe i loro cuori), il popolo non tacque, la rivoluzione è fatta!!