464 Non solamente io non imputo al re propositi cosi scellerati, ma credo fermamente «•he coloro stessi i quali minacciano che, se noi non ci aggregliiam subito al Piemonte, il suo re ci lascia dell’Austria, coloro stessi non veggono lo strazio che fanno del nome suo, straz’o quale potrebbero appena i nemici più accaniti desiderare o imaginare. Io tengo, all’incontro, che se Venezia, in questo contrasto d’inleressi e di sentimenti, in questo rumore di parole e d armi, non precipita il giudizio dello sorti proprie e delle altrui, non solamente non fa al re torto o danno, ma che, invocando l’umanità sua e del forte suo popolo, dimostrandosi ricordevole delle parole sue, lo metterà come al punto di fare opera più pietose e più grandi, che non s'egli per un suo proprio dominio combattesse. Perchè quanto l’intenzione è più degna, tanto son gli atti più splendidi; e ad igraobil fine non si può adoprar mezzi altro che vituperosi: cosi l’eterna giustizia delle cose comanda. E Carlo Alberto nella coscienza sua sente meglio ch’io non sappia dire, che, se non pura delle meschine voglie di dinastia, e’ non otterrà mai la vittoria. Glie s’egli sapesse quale onta gli facciano quelli che, a guisa di pubblicani, estorcono da’popoli un tributo di mutuo disonore; rinnegherebbe il re la mediazione non degna, e coloro che gli infliggono si tristi premii, come rei di lesa maestà e di lesa umanità, punirebbe. Io per me dico di nuovo che gli sforzi fatti da taluni per pregiudicare la questione, io non attribuisco ad intenzioni colpevoli, ma ad improvvido senno, anzi a troppo ansiosa voglia del bene, come di chi coglie un frutto acerbo per farne altrui dono inutile ed insalubre. Quelli che così fecero, mostrano d’aver troppa fede nelle arti della vecchia politica, le quali ormai dovrebbe sapersi come sicn atte piuttosto ad abbattere che a fondare gli stati. A che s'rvano le arti della politica scompagnate dalla grand’arte del sacrifizio, lo dicono tre grandi esempii de’ quali Iddio volle testimone il secolo presente non ancor giunto al suo mezzo. Abbiam visto Napoleone, il guerriero incomparabile l'amministratore sovrano, navigare l’oceano come galleggiano gli avanzi d’un legno rotto dall’onda: abbiam visto Luigi Filippo spazzato dalla terra di Francia come un’immondizia; abbiam visto il principe di Mettermeli scacciato via come un ladro. Da’quali esempi apparisce come l'accorgimento senza la generosità s:a, più d’ogni semplicità, nemico a sè stesso. Ma nel caso nostro il prendere oggi sulle sorti di Venezia un partito, è sconsiglialo dalle ragioni stesse della politica: chi Carlo Alberto e il suo popolo valoroso aiuteranno, se possono, Venezia, ancorché indipendente. Non solamente le fatte promesse lo impongono, non solamente il decoro lo chiede, ma io domanda la comune salvezza; perchè se un austriaco restasse sull'Adige, sulla Piave, sul 'ragliamento, farebbe sul Ticino e sulla Dna sentire la voce della minaccia e il fetore della servitù. Chi dicesse eh" il nome di Repubblica, anche provvisoria che sia, è tanto terribile a re Carlo Alberto da fargli cadere l’armi di mano, dimenticherebbe ch’egli non può ricuperare le provinole del Veneto datesi a lui senza salvare Venezia, e che se per vendetta o paura d’una città altri gli consigliasse lasciar preda all’austriaco più milioni o pur migliaia d’anime italiane, lo consiglierebbe giocare un mal gioco. E lasciando staie che la questione, importuna adesso, del regno o della Repubblica, è tale che i falli soli verranno sciogliendola di per sè; chi non vede, che, se questa Repubblica è meschina cosi, 11 in può dar ombra; ma se ci fosse latente un sentimento, un principio, sotterrala eh ella sia, ripullulerà come seme in moltiplicati germogli? Questo dunque si ponga per termo: che il re, quand’anco noi non gli facciamo il torto di troncare oggi il nodo, piuttosto che sciorlo a suo tempo, anzi per questo che noi non gli facciamo cosi grave torto, ci rispetterà molto più, nè ci aiuterà punto meno; c che s’egli non fa quant’è il nostvo bisogno, gli è perchè veramente non può. Non è questo luogo o tempo a rimproveri: mi egli è pur forza rammentare che le provincie del Veneto troppo amaramente provarono della prematura associazione gli effetti; che il farsi Sud; pirve coma un passaggio (e speriamo che per brev’ora) a ridivenire austriache; che Vicenza la qual prima precipitò la questione, prima ebbe a palile troppo dura la pena d'Ile sue voglie impazienti, non espiate nemmeno dal suo memorando coraggio. Onde coloro che bramarono definita a furia la gran causa, fecero al re doppia ingiuria: quella eh.; ha d?tt.o-, del credere ch’egli non voglia propugnare le città italiane se non dopo fatte già suo dominio; e l’altra, del fare a bello studio ch’egli, impacciato da esso dominio, non lo pissa difendere, e diventi, per qualche settimana almeno, monarca in partibus Germanorum. A tal dolore lo esposero cercando fuor d’ora la esaltazione di lui. Ma voi, cittadini, differendo ad ora più riposata, salvate col vostro il suo decoro, e d’Italia; gli of-