345 Ed intanto che il generoso Stefani si adoperava per me, venni invitato da alcuni Goriziani ad una cena che mi aveano preparata, onde dimostrarmi in questo modo eh’ essi non aveano avuta parte alcuna nelle vessazioni praticatemi otto giorni prima. Ma io che ne fui la vittima, e bene conoscendo sotto quali rapporti mi si offriva quel tributo, risposi loro che non poteva nè doveva accettare cosa alcuna, e che appena fossi fuori di stato, avrei scritto su tutti i giornali quali trattamenti mi furono usati, e quale umanità vi sia in Gorizia. — Infamia eterna ai Goriziani, e specialmente alle donne, che invece di essere gli angeli di pace, furono le furie dell’ inferno ! Era la terza festa di Pasqua: chiesi alcuni danari ad imprestito onde poter fare il viaggio insieme co’ miei compagni. Giunti a Romans, il popolo mi riconobbe, e voleva di nuovo ingiuriarmi e martirizzarmi, e certo avrebbero sfogato la loro rabbia se i soldati di scorta non mi avessero salvato, resistendovi colle bajonette. Arso dalla sete, chiesi un po’ d’acqua, e mi fu negata, sicché mi convenne proseguire il cammino fino a Udine, ove trasportato nella casa del mio amico Antivari, uomo veramente popolano e di provata generosità, mi fermai alcuni giorni in seno di quella adorabile famiglia. Colà mi rinfrancai un poco delle pene sofferte, indi presi congedo da tutti gli amici che mi offersero la più viva accoglienza, e me ne partii per alla volta di Belluno, passando per Pordenone e per tutto il campo nimico che stanziava lungo il Piave. Portava meco il proclama di S. E. Hartig e tutti gli articoli della Costituzione, essendo stato quasi obbligato a presentarli e raccomandarli al Comitato di Belluno. Arrivato colà gli amici tutti mi abbracciarono come un morto risuscitato, e narrai loro ¡1 lungo mio martirio con quella verità che ad uomo onesto è debito, senza nulla aggiungere. Indi consegnai le carte che mi furono date al Presidente del Comitato, e il bravo Dogiioni insieme alla Commissione, e senza nemmeno leggerle, le gettò dalla finestra. In Belluno v’era un’ira nobilissima, un impeto grandissimo per difendersi fino agli estremi, e certo avrebbero mantenuta la parola, se i feroci ladroni non si fossero presentati a Belluno in cui ogni resistenza riusciva assolutamente inùtile. Intanto occupata la città, e gli austriaci avanzandosi per la via di Feltre, rimase al comando di Belluno il Geiierale Kullos, che avvertito dalle infami spie della mia narrazione, mandò alcuni picchetti di ulani e varii croati, mi fece cercare dappertutto con ordine di darmi nelle sue mani o vivo o morto. Sparsasi appena questa voce, un mio amico mi fece avvertito da un messo, potei a tempo come aquila, arrampicandomi, salvarmi sulle cime delle più alte montagne, camminando e dormendo sulle nevi, elemosinando un tozzo di pane; vi passai molti giorni vagando qua e là come meglio mi suggeriva la mente. Finalmente stanco di quella vita, e pensando che in l'iel modo non sarei stato utile nè a me nè agli altri, presi il partito di attraversare le montagne sopra Feltre, e per la via di Cornuda, giunsi a Treviso, ove gli amici ardentemente mi desideravano. Ora sono a Venezia in seno de’ miei, e fra I’ amore de’ miei concittadini ai quali tributo la più leale riconoscenza per l’affetto che mi dimostrarono. Eccoti la