458 passiva e dovette anzi essere sovvenuta di fondi dalla Cassa centrale. Diversamente essere non poteva, dal momento che la Posta fu incaricata di straordinarii servigii militari e diplomatici e, per mantenere la corrispondenza, fu costretta ad attuare mezzi insoliti e per istradali indiretti, con gravissimi dispendii. Nella Zecca di Venezia, al 23 marzo, si trovò un fondo di L. 708,498:— 7 y j tra monete coniate, e paste d’oro e d’argento da monetarsi. La Zecca, dal governo precedente, era mantenuta in via affatto interinale, per soddisfare ai bisogni del nostro commercio specialmente per la monetazione dei talleri pel Levante, e la somma di sopra indicata avrebbe dovuto considerarsi piuttosto come dotazione dello stabilimento: nulladimeno durante il trimestre le si fecero versare nella Cassa centrale L. 240,415 — onde aumentarne i fondi disponibili. — La Zecca si prestò anche a coniare la nuova moneta, secondo il sistema italiano, che segna l’epoca della liberazione di Venezia ed il principio dell’Unione Italiana. Questi mezzi ordinarii della finanza veneta non avrebbero potuto bastare a supplirne la passività. Si è dovuto ricorrere a dei mezzi straordinarii, e si cominciò dall’ingiungere al Comitato della strada ferrata il versamento dei fondi che si trovavano giacenti nella sua Cassa, secondo (pianto era prescritto dalle norme colle quali sono regolati i suoi rapporti coll’amministrazione dello stato. Si ebbe così un fondo di 3 milioni di lire, la maggior parte in cambiali, che unito a delle generose offerte spontanee dei cittadini, per oltre 250,000 lire, permise di poter continuare fino a tutto il mese di maggio, senza gravi intralci nell’andamento del servigio civile e militare. Ma prevedendosi che i mezzi di difesa necessarii a resistere all’occupazione di alcune provincie, già minacciate dal nemico, esigerebbe sempre maggiori spese pel mantenimento delle truppe alleate, e pel completo ordinamento delle nostre, e per ogni altra occorrenza di guerra e della marina; si è fin dal 14 maggio decretato un prestito forzato di 10 milioni, riparabile per le provincie di Venezia, del Polesine, di Padova e di Vicenza, nonché della parte del Trevigiano tuttavia non invasa. Questa misura del prestito coattivo, molto discussa e colla Consulta, e coi deputati delle provincie, espressamente chiamati, la si adottò, come la sola consentita dall’urgenza di raccogliere denaro per erogarlo a dispendii che non ammettono dilazione. Non ¡sfuggirono lutti gli inconvenienti di un prestito forzato, tutte le difficoltà anche di menomarli nella sua esecuzione; ma si trovò che la salvezza della patria esigeva dai cittadini un tanto sacrifizio. Il prestito per altro non si è potuto realizzare nella provincia di Treviso per la totale sua occupazione, c lo si realizzò in parte in quelle di Vicenza, Padova e Rovigo, che successivamente soggiacquero alla stessa sorte. Nella sola città di Venezia, ed in alcuni distretti della sua provincia, si poterono ultimare le operazioni pel ripartimento individuale della somma di 4,500,000 alla provincia stessa attribuita, e merita veramente encomio la carità e lo zelo dei suoi abitanti se, al 22 giugno, cui si arresta la dimostrazione, erano già pagate lire due milioni setlantaunmila trecento