108 di animo si fecero sparpagliatori, incontanente rovinarono; perchè dividere è distruggere, e unizzare è creare. I più eccellenti ingegni della Penisola, benché amatori di libertà ardentissimi, le anteposero l’unione; e immolarono agii interessi ili questa gli affetti, i pensieri, le consuetudini. Per dare unità all'Italia, Dante si rese ghibellino : il Machiavelli fece un sacrificio ancora più arduo, postergando a quello scopo altissimo la propria riputazione; non peritandosi di lodare il Borgia, e di invocare alla grande opera il braccio di un tiranno. Ma io voglio allegare di ciò che dico un esempio recentissimo e vivente. Chi è più tenero della repubblica di Giuseppe Mazzini? Nel quale come Genovese e svisceralo delle memorie patrie, il talento repubblicano è quasi sacra e domestica ricordanza. Ora parlando ai Siciliani egli dichiarò formalmente di anteporre Genova monarchica, ma unita al Piemonte, a Genova popolare, ma divisa da quella provincia. Chi non applaude ai sensi del generoso Ligure? E »’egli rivolgesse il discorso ai Venetolombardi o ad altro popolo italiano, userebbe forse un altro linguaggio? . . . . La mia patria da venti secoli in qua non fu mai in più tcr-ribil frangente; poiché l’esser tutto o Tesser nulla, l’occupare il primo o il tornare all’ultimo seggio delle nazioni, dipende dalla sua eletta. Se il concetto repubblicano oggi trionfa, lutto può andar perduto: giacché con esso rientrerebbero subito e crescerebbero le divisioni, le discordie, le impotenze, le debolezze, le scimiotterie, le vergogne, e tutte le altre piaghe che ci travagliarono per tanto tempo. Laddove tutto è salvo, e il risorgimento italiano sarà in breve non solo compiuto, ma assolidato, se , prevale l’idea monarchica, e gli Stati redenti invece di sparpagliarsi si raccolgono sotto l'ala potente del principato. Tal è il dilemma, da cui dipendono irrevocabilmente i fatti presenti e futuri d'Italia. E vi ha chi esiti nella soluzione? E cui soffra il cuore di mettere una causa di tanta mole all’ultimo repentaglio? Imperocché (si noti bene) tulli consentono che colla monarchia rappresentativa più non si corre rischio di dare indietro e di perdere sostanzialmente i beni acquistati. Concedasi, se si vuole, che sotto un principe civile il progresso sia meno celere e vasto che nello stato popolare; ma esso è certo, stabile, diuturno, c non vi ha pericolo di regresso. Imperocché l’opinione è oggi cosi gagliarda, e le cose in Italia e fuori sono disposte in modo che se la monarchia presso di noi tralignasse e si mostrasse indegna del carico che le è affidato, a lei sola toccherebbe il portar la pena dei suoi traviamenti. Laddove non vi ha nulla di più dubbioso sotto la repubblica; e i suoi partigiani medesimi, se non vogliono contrastare al manifesto vero, debbono confessarlo. E chi non vede quanto saria folle il far più fondamento in una repubblica italiana che nella francese? La quale ninno è certo che sia per durare, c per dare alla Francia quei frutti di felicità e di sicurezza, che sono la speranza di molti e il desiderio di tutti i buoni. Se v’ha chi il creda in Italia, vada a Parigi e poi mi risponda. Ora stando che i futuri destini del nuovo stalo francese siano impossibili a presagire, l’imitarlo in Italia saria quanto il sottoporla alle slesse incertezze di fortuna, e il farla dipendere dalle sorti instabili di un popolo esterno con pari scapito del