392 tocorni, tra le fucilate si spinse sotto alla porta, e difeso dall’arcone, co* ininciò a tagliuzzarla tanto da formar pochi fuscelli, ai quali attaccò fuoco coi solfanelli per modo che cadde incendiata ; e centosessanta soldati (pur troppo Italiani) vennero prigionieri. Vi avverto la circostanza dell’esser Italiani, perchè non crediate a diserzioni in massa o predisposte. Nostri e Ungheresi, non men che Austriaci e Croati, tennero 1’ onor militare j e non so d’ altrove che di Cremona, ove un colonnello, marciato all’ atlac* co con più di tremila soldati, ben presto se ne tro. ò appena seicento, gli altri essendo ascesi alle llnestre per difendere la patria. I Pompieri della città furono il primo corpo che stette cogl’ insorgenti ; dappoi anche le Guardie di finanza, che non poco giovarono a sgomberare il borgo di porla Ticinese. I Gendarmi erano guardati in castello. 11 General Comando era difeso da quattrocento uomini e quattro cannoni, standovi la cassa e molte famiglie ricoverate; e vicino al castello, e con una lunga via a fianchi, pareva imprendibile. Eppure i giovani 1J attaccarono mentre la gente del vicinato colle grida di bravo bravo, morte morieinfondevano coraggio ai nostri, sgomento ai nemici, i quali aitine se ne andarono devastando. La caserma di San Sempliciano fu presa con meno ostacoli, e quivi si trovò, non parlo del danaro che niuno vi badava, ma armi molte; e fu un tripudio quel metter le mani su casse di squadroni e di pistole d’arcione. Fortemente s’ebbe a combattere al vastissimo monastero di San Bernardino, quartiere delle guardie di polizia, che, ostinate alla difesa, conoscendo sbocchi ignoti al popolo, diuturna resistenza opposero. Un cannoncino da trastullo gettò contro la porta la stoppa incendiaria, e appiccatovi fuoco, si potè snidarli. La caserma di S. Apollinare, da ventiquattr’ ore resistette. l)a quella di S. Celso ove stavano i cadetti, il cannone spazzava il lunghissimo corso, e abbatteva le barricate; ma i nostri ne fecero di mobili, e le spinsero contro al fuoco incessante. « Questi differenti attacchi erano indicati da grida, e da scritte col carbone sulle barricate e sulle mura: « A S. Simone — a Porta Tosa — al Castello — Armi da fuoco olla caserma di S. Francesco — Rinforzate le barricale e tutti obbedivano all’ anonimo comando. Gli eroi erano più che le armi; onde se ne dividevano l’uso, come la ballerina a un festino di scarse signore; e pregavansi l’un l’altro; « Cedimi un tratto la tua carabina ch’io ne ammazzi un paio ». Giuseppe Pezza credenziere, e il figlio del marchese Cusani, alternavano fra loro il lucile e un cannocchiale per vedere i guasti che il compagno faceva nelle file nemiche. V’era chi piangeva di non aver un fucile, o cartuccie. Ho sottocchi gli appunti che man mano faceva una signora, sospendendo, per informarmi, l’opera dell’incoraggiamento e della carità. Ad uno che tornava dall’attacco del General Comando esibii da bere: No; non ho sete che di sangue. A un altro di pallor mortale mescei del vino; accostò il bicchiere alla bocca, ma il polso convulso glielo impediva. Domandai se si sentisse male; alzò le quattro dita, lìoccamente dicendo: Sun quattro giornie tirò innanzi per combattere altrove. Il pittore Alberti passò altrettanto sfinito: gli diemmo un cordiale, ed egli il prese e se n’andò: la vittoria non era ancora compiuta. Povera e cara gioventù!