4 20 austriaca; e Roma, per cui l’austriaca catena diveniva catena insoppor-tabilissima di tutta cristianità, clic Vienna avrebbe voluto si reggesse colle arti infami della metternichiana politica; e Napoli e Sicilia, cui l’Austria imponeva il giogo peggiore di tutti, quello di due popoli, costretti ad essere nemici perchè battuti dalla stessa verga, e che non potranno essere amici se non liberi. Questo peso straniero, che tutti ne gravava, fece nazionale e santa la guerra dell’indipendenza; la fece guerra di difesa, poiché tutti gl’IUi-iiani, mentre combattono per i fratelli, combattono per sè medesimi, per la propria indipendenza e libertà, che non s’avranno mai intere finché orma di piede nemico resti sul suolo italiano. E Piemontesi e Liguri e Modenesi e Parmigiani e Toscani e Romagnuoli e Napoletani c Siculi e Lombardi e Veneti, tutti stringiamo sul campo le destre per ¡stringerle poi nel Parlamento nazionale, ove stabilire d’accordo i modi migliori per conservare la riacquistata indipendenza e per rendere la nazione italiana forte conir’ogni straniero insulto, e per preparare le vie della comune operosità, onde prendere il posto che ci compete. Tutti gl’italiani sul campo: tutti gl’italiani nel Consiglio, per il bene comune della patria! Questa è l’impressione che mi sembra restare in chi pensa, dopo la commozione destata nell’anima di tutti ieri dai fraterni saluti dei rappresentanti della marineria da guerra napoletana e del popolo veneziano. Discendevano fra il tonare del cannone, il suono delle campane e la musica della Guardia civica ed i viva universali, molti de’primarii ufficiali della flotta napoletana. La pioggia non impediva al popolo di trovarsi assai numeroso in piazza; dove, quasi volesse significare, che ora è tempo di usarsi tutti alla vita militare, e di smettere ogni mollezza, non volle patire le ombrelle spiegate. Cessali i viva ai fratelli Napoletani, a Pio IX, a Carlo Alberto, a tutti i difensori della patria, ed al Governo veneto, si volle udire la voce del Tommaseo; il quale, coll’anima commossa, espresse la gratitudine nostra ai nuovi difensori, ed ammirò questo comune ardore di tutto il popolo italiano nel pugnare per la causa della patria intera. Un uflìziale napoletano accettò a nome de’suoi compagni il ringraziamento del popolo veneto, volendo però aspettare di meritarlo coi falli, disposti come sono a spargere il loro sangue per l’Italia. In appresso comparve, desiderato e chiamato dal popolo, il presidente delia Repubblica, Manin, il quale, formulando i sentimenti comuni, dimostrò che le cause che agitano il popolo italiano sono quelle dell’indipendenza e della libertà; che questa, benché non inferiore, deve però essere posteriore; che dal mirabile accordo in cui si mostrano i fratelli tutti Italiani nella santa causa dell indipendenza, si doveva presagire che lo avrebbero anche in quella della libertà; che l’avvenire non dev’essere per ora pregiudicato e che l’avvenire che ci attende, sarà grande. Ma badiamo di non pregiudicare alla libertà col pretesto di ottenere l’indipendenza. Se noi volessimo decidere prematuramente la nostra politica condizione, arrischieremmo di pregiudicare persino la causa dell’indipendenza. Perora, via lo straniero! Al resto si penserà poi. Ai Napoletani ed al loro principe tributava sensi della più viva riconoscenza; e chiudeva col fare l’elogio anche del popolo veneziano, che sempre calunniato, aveva date col suo contegno prove di