48 chi)^ per cui una metà delle rendite attuali dell'Ungheria dovrebbe essere applicata a pagar gli interessi del debito pubblico di cui si fa carico. Le circostanze finanziarie in cui si trova attualmente questo regno, non sembrano permettergli un tanto sacrifizio; ma secondo la massima (lei giuristi qui non sulvil de aere, sulvat de corporenon sarebbe difficile che le due parti si accomodassero, e che l’Ungheria in luogo di denaro presti un esercito da mandare in Italia, e senza molta fatica ella potrebbe prestare cento mila uomini, di cui 25 a trenta mila di cavalleria. Questo, o clu-bisti e repubblicanisti di Milano, non è poesia, ma prosa, di uno stile molto duro. In Vienna se i più entusiasti e più radicali fautori delle nazionalità indipendenti (che non sono certo il maggior numero), sono di opinione che non si abbia più a pensare all’Italia, altri invece insistono che non si abbia a rinunciarne il possesso cosi a buon mercato, e di questo sentimento sono i banchieri, i manifatturieri, gli industriali, quelli che hanno capitali sulla banca di Vienna, che possiedono cartelle dello stato, ed azioni nel Lloyd austriaco o sulle strade ferrate ec., vale a dire la classe più poderosa e che ha più clientele nella società. E siccome tutti costoro per la perdita dell’Italia sarebbero più o meno rovinati, e forse anche rovinati radicalmente, cosi tutti costoro sono anco disposti a fare dei sacrifizi per sottrarsi dal naufragio, se è possibile. Anche queste, o clubisti e repubblicanisti di Milano, non sono mistiche idealità, non sono frasi vagamente poetiche, ma è prosa e dura prosa. La Gazzetta di Vienna, organo semi-ufficiale di Ficquelmont, come l’Osservatore Austriaco lo era di Mettermeli, pubblicava non ha guari un articolo in cui si riconosce la mano strategica deli’ex-ministro della guerra ed attuai presidente del consiglio, nel quale ei vuole disporre l’opinione del pubblico austriaco a favore de’disegni che ei cova in mente. Adunqne secondo l’autore di quell’articolo, la valle del Po non può passare sotto altra dominazione od influenza che non sia l’austriaca, senza che la sicurezza della Germania ne soffra pericolo, perchè la Francia non può attaccar la Germania con vantaggio, se non passando o per la gran valle del Danubio o per quella del Po. Se i Francesi sono padroni di quest’ul-tima, passando lo Spluga o lo Stelvio, possono in pochi giorni trasportare un esercito sull’lller e sulla Lecli, e prendere di fianco ed alle spalle l’esercito germanico che combatterebbe sul Ileno. Ora sentite con quanta tenerezza la gazzetta del conte di Ficquel-monl parla di noi Italiani. Io non posso tradurre queste patetiche parole, senza sentirmi commosso fino alla estremità delle unghie. » L’Italia deve pertanto considerar bene tutte queste cose prima di chiamar lo straniero ed accendere con ciò una guerra che sarebbe combattuta sulle lussureggianti sue campagne, e che farebbe indietreggiare di un secolo questo bel paese. Gl’Italiani sono accorti e riflessivi più che non bisogna; ed essi devono ponderare che cosa abbiano da aspettarsi dalla Francia o dall’Austria, dall’Austria ora diventata liberale. Molti vivono ancora, i quali si ricordano dell’ oppressione francese, e raccontino essi F arroganza e lo rapacità de’ Francesi, e il disprezzo che essi facevano della nazionalità che in sostanza fu assai più conculcata allora, che non sotto F assoluto regime austriaco.