394 pennoncelli; e quando le batterie avessero sparato, alzavansi a motteggiare il nemico. Ad imo di dodici anni è portata via la gamba da una cannonata, ed egli esclama: * Beati quei che muoiono per la patria ». A un altro è mozzo il braccio, cd egli alza il moncherino e grida: « Viva Pio IX. » Un ragazzo avca preso uno squadrone in una caserma e diceva: «■M'han esibito cento lire per cederlo; non lodarci per un tesoro. » Un gruppo d’altri fanciulli assaliva e disarmava i Croati dispersi o sfiniti. Le donne non mancarono al gran giorno, ispiratrici, consolanti, combattenti. Alla prima mossa del popolo che accorreva al Governo, esse gettarono dalle finestre le coccarde tricolori, e sventolarono le prime bandiere. Poi videro che di meglio v’era a fare, e impavide si buttarono sulla via, fra il sibilo delle fucilate e lo schianto de’cannoni, a rinforzar le barricate, ad apprestare armi, a incoraggiarej a premiare coll’ammirazione. Molte salsero sui tetti, e fecero di là terribile guerra coi tegoli. Altre stavan alle finestre, e quando un drappello apparisse, gridavano già! giù! e tosto cominciava la pioggia dei tegoli. Altre avventurarono veramente la persona in battaglia. Luigia $assi, nata Ballistotli, popolana, in abiti maschili postasi alla testa di Umili abitanti attorno al ponte delle Pioppette, era sempre prima all’assalto, molti uccise, incalzò senza riposo, nò cessò le armi che per portare in città farina, impresa non mena pericolosa. Una signora disarmò tre poliziotti; un’altra uccise tre Croati. Anche fuori, un’angiola Martelli d’Aquate, si pose alla testa di quindici donne per venir a soccorrere Milano. Altre signore intanto allestivano munizioni; e le dita educate al cembalo e all’uncinetto, sJ annerivano colla polvere. Quante cartuccie non uscirono da casa Borromeo! Anche dopo la vittoria, fu decretato che « le cartucce destinate alla indipendenza della patria non fossero lavoro di mani mercenarie » ma delle patriottiche donne; sicché « i giovani guerrieri ripensino ad essi sul campo dell'onore, pugnino come leoni invincibili onde riedere gloriosi a ricevere le carezze di premio da quelle mani stesse, dalle quali ebbero lo sgomento della vittoria. » In queste parole sentite già il tono de’proclami divulgati; e se si pensa ai frangenti tra cui erano scritti, alcuni son capolavori. Coll’ uno, mandato fuori per mezzo di aerostatici, si eccitavano le città e i borghi ad armarsi in compagnie da cinquanta e per parrocchie, e « Noi domandiamo ad ogni città e terra d’Italia una piccola deputazione di baionette, che guidata da qualche bravo capitano, venga a far una giornata d’assemblea generale a’piedi delle Alpi per far l’ultimo e definitivo nostro concerto coi barbari ». Un altro: « Cittadini, riceviamo di pié fermo quest’ultimo assalto dei nostri oppressori, con quella tranquilla fiducia che nasce dalla certezza della vittoria. Le campane a festa rispondano al fragor del cannone e delle bombe, e vegga il nemico che noi sappiamo lietamente combattere e lietamente morire ». Un altro: « Il generale austriaco persiste, ma il suo esercito è in piena dissoluzione. Le bombe ch’egli avventa sulle nostre case sono 1 ultimo saluto della tirannide che fugge* I nostri bamboli non cresceranno