493 minacciava Roma e l’impero, ci somministrarono un aureo concetto per chiudere opportunamente la nostra breve allocuzione ai rappresentanti del popolo, quando erano per entrare nell’Assemblea provinciale: e le stesse parole ci danno oggi argomento di rivolgerci a voi tutti, o dilettissimi, nell’alto di annunziarvi, che questa Assemblea sorli pienamente 1’effetto, a cui miravano i nostri voti comuni. Leviamo il capo, o fedeli, diceva Agostino, e portiamo i nostri sguardi a Quello, il cui regno non vacilla, nè finisce giammai: perchè io non veggo sulla terra nè un uomo, nè una radunanza d’uomini, che salvar possa l’impero. Qual sentenza potrebbe immaginarsi più vera, più sublime, e più istruttiva che questa? Non occorre già ricercar nelle storie documenti, clic comprovino questa gran verità. 1 nostri tempi ne sono abbastanza fecondi. Quanti troni, che pareano fondali sulle basi più solide, si dileguarono in un punto, come nebbia, che il vento disperde! Il solo trono di Dio, nel rovesciamento di tutti gli allri, non teme mina, nè crollo. E che può l’arte, l’ingegno, e la forza dell’uomo, e di tutti gli uomini insieme^ se Dio non vi concorre colla sua divina potenza? INulla, o dilettissimi, affatto nulla: e ben cene ammaestra la nostra slessa esperienza. Queste riflessioni debbono renderci, non già pusillanimi, nè pigri, ma religiosi, e confidenti in quel Dio, che ci conforta, come dice S. l’aolo, ed in cui possiamo ogni cosa. Cosi ab-biaiu fatto anche in questa memorabile circostanza : abbiamo invocato l’aiuto di Dio, c Dio esaudì le nostre preghiere. Si trattava di risolvere una gran questione, che racchiudeva in sè le sorti future di questa illustre città. Era quindi ragionevolmente a temersi, che in argomento sì grave, e nella moltitudine e varietà dei pareri, nascesse qualche improvviso conflitlo, che il popolo stesso -\i prendesse parte, e che ne soffrisse detrimento, o pericolo almeno, la pubblica quiete. Ma lutto invece procedette con perfettissimo ordine, nè il popolo fu inai tanto tranquillo, quanto in questi momenti, nè unione d’uomini si raccolse mai a deliberare sui pubblici affari, in cui si accordassero meglio i voleri, e le opinioni di tulli. E qual ne fu l’ultima decisione? Quella appunto ch’era voluta dalla presente condizion di Venezia, c più conforme ai desiderii sì de’cittadini, che di tutti i nostri fratelli d'Italia. In forza di questa decisione, Venezia si ricovera sotto l’egida tutelare di un re possente e magnanimo, che combatte alla lesla de’suoi eserciti, e guida seco alle fatiche cd ai perigli del campo i valorosi suoi figli per la causa comune, e che anche prima della nostra fusione, spedite avea le sue navi a solcar l’Adriatico, per tutelarci dalle ostili aggressioni, e tenere aperto l’ingresso de’nostri porli alle navi benefiche portatrici delle merci, e dei sussidii necessarii alla vita. Quanti beni perciò non dobbiamo attenderci da sì felici principii! Ma qual ne fu la causa primaria? Sia pur lode allo spirito eccellente d’intelligenza, di moderazione, di pace, e di amor vero di patria, che guidò le autorità civili e militari, i deputati del popolo, ed il popolo stesso a voler concordemente ciò che tornava più acconcio al pubblico bene. Ma donde mosse questo spirilo benefico, se non da Dio che spira ove vuole,, e illumina le menti a conoscere il meglio, e piega le volontà ad abbracciarlo, quando vuol salvare le città che confidano in Lui? A