408 infelici , non avesse ;t compiersi solo per inusalo concorso (li favorevoli eventi , o per impeto d’entusiasmo miracolosamente concorde. Quella libertà , la quale da principio parve piuttosto dono divino, che umana conquista, sla per ritemprarsi a prove più difficili e più gloriose. Giovanilmente vincemmo, ed ora siamo posti alla necessità d’usar virilmente della vittoria. Nè voi certo, o Lombardi, lamenterete questa necessità, voi che già sperimentaste quante inspirazioni di concordia, di coraggio, d’amore rechi ai nobili cuori l’ora suprema del pericolo ! Benché da lunghi anni divezzi dall’armi e quasi dalla speranza, un sacro furore ci trasumanò nei giorni eternamente memorabili del marzo. Abbracciandoci, amandoci, ed insieme affrontando con gara pietosa la morte, trovammo il senno, trovammo il coraggio, inventammo una guerra nuova, la guerra delle Termopili cittadine, e dalla lotta temeraria uscimmo soldati, veterani, vincitori. Ed ora, o Lombardi, guardiamoci in faccia: ancora siamo quelli del marzo! L’inesperienza politica, il fascino della fortuna, la novità degli eventi, l’insolita vivacità delle idee, delle passioni, delle speranze ridestatesi ad un tratto dal secolare assopimento , la mole crescente di un’amministrazione, che bisognava insieme e crear dal nulla e spingere come già fosse forte e matura, l’impazienza di animi a cui già il mara-viglioso era divenuto connaturale, le esitanze insuperabili per chi muove su una via inesplorata, ponno averci condotto a qualche errore, ponilo averci dato il tristo diritto di dubitare di molte cose. Ma siamo pur sempre quelli ; ma di questo possiamo e dobbiamo renderci sicura testimonianza, che tutti abbiamo posta lietamente la vita per la'patria, e che di nuovo siamo pronti ad offrirla. E a nuovi sacrificii, a nuove vittorie ci chiama il Signore: sacrificii necessarii, vittorie sicure. Il nemico coperto tra 1’ Adige e il Mincio dai baluardi, ch’egli da tanto tempo studiosamente si preparava per ultimo rifugio;" ingrossa d’uomini, ed aizzando gl’istinti barbarici, rinfiamma i suoi soldati, se non al coraggio vero , almeno all’ avido furore del saccheggio e della strage! Sfuggendo le invitte schiere piemontesi, egli si volse con improvviso impeto sulle città della Venezia, che, soverchiate dal numero e dalle artiglierie, ricaddero sotto il dominio di milizie inferocite, le quali dagli antichi barbari non differiscono, se non per l’eroica ipocrisia de’ loro condottieri. Quelle orde, che ancora ben non si sa in nome di chi combattano, diedero di piglio agli averi dei privati come agli erarii del pubblico; vuotarono le casse de’ comuni, tassarono le famiglie, spogliarono i Monti di pietà3 rapirono i depositi commessi alla pubblica fede, profanarono le chiese, e fecero inverecondo sperpero de’ sacri arredi, distrussero le opere inapprezzabili dell’arti belle , intimarono confische , e forzarono quegl’infelici italiani, che non avevano potuto morire per la patria, a vestire l’assisa straniera ed a distribuirsi nelle schiere austriache, ostaggi vigilati e carne preparata a ricevere i primi colpi del cannone italiano. Queste cose soffrono i nostri fratelli del Veneto; queste cose Radetzky prepara per quella divina gemma dello italiane città, per quell’unica Venezia. che confidando in noi decretò di congiungere le sue con le nostre