86 piuttostochè vederti vinto e disonorato, il nostro valore, la fedeltà nostra avrebbero preferito di restar sepolti con te. Ma poiché altro a far non ci resta per te, sia il nostro cuore la tua tomba onorala, e la nostra desolazione il tuo più grande elogio ». Dopo tali commoventi parole, piglialo lo stendardo, ciascuno concorse a baciarlo tenerissimamente lavandolo di calde lagrime, e dovendosi una volta por fine alla cerimonia dolente, si chiusero quelle care insegne in una cassa che 1' abate Preposto della chiesa di Perasto collocò in un reliquario sotto l’aitar maggiore A Perasto dunque son custodite le sacre insegne; voi da di là, amali Dalmati fratelli, levatele e rendetele ancora alla antica loro gloria, alla vittoria e scrivete sotto a quel Leone. — Sono la forza di Dio, nessun mi tocchi (*). (*) Moto applicato al Leone dal celebre oratore Nichetti. Il cittadino CARLO RAMPAZZI. 12 Maggio. I MUNITESI 11 FRATELLI DI BTJRANO. La fratellanza, questo sentimento istintivo che mai non si dissocia dalle relazioni di popoli che hanno comune il derivo, oggi è un bisogno sentito più possentemente che mai. Noi emancipati come voi da sistemi che ne allentavano le molle, e soggiogandone alla brutalità dei nordici Verri, misuravan col sospetto tino all’estensione de’nostri sospiri, perchè anche il cuore avesse il suo giogo_, sentiamo come voi la convenienza di richiamare il sentimento di fraternità a tutto lo sviluppo della sua forza con l’avvicinare degli animi e mettere in armonia il comune pensiero; ora che I» nostra azione vuoisi risolvere in una forte obbedienza all’urto della grande rigenerazione politica, ora che la Italia cospira ad accomunar dal mare alle Alpi i suoi ridenti desiini; FItalia quando fu libera e unita trovò piccolo il mondo alla immensità delle sue glorie. Nondimeno la fratellanza di che voi ne richiedete, è l’espressione di un fatto già esistente da gran secoli: voi avete solo il merito di richiamarla ora solennemente ad un'azione più vitale e più franca. Il bizzarro cervello che vi gettava sopra il ridicolo, movendo una parola che non avea gravità, palesava di non avvisare la turpe meschianza clFei facea delle fole, a cui dava rilievo la rude fierezza di tre secoli addietro, con la gravità delle presenti cose. Noi in quel miserabile prudore di beffa non ravvisammo che il tristo destino degl’intelletti piccoli, e la non rara ignoranza dell’indole della libertà conceduta ora al pensiero: ignoranza ch’ebbe per pena la pubblicazione stessa del suo meschino concetto. II vostro volo pertanto non è che il nostro: è un volo che gli eventi vogliono or meglio realizzato, che la libertà vuol sacro sull’altare della patria redenta. Memori della nostra derivazione comune con qnella di Ve-