219 ai Milanesi che Milano, accedendo al Piemonte e procurando eguale adesione dal Veneto, divenuta centro, diverrebbe eziandio capitale del nuovo regno. E non mancava chi su-jurrasse all’orecchio dei Veneti, che l’Austria sarebbe per avventura disposta a cedere 1« Lombardia ritenendo Venezia, della quale come di Repubblica, il Governo piemontese non potrebbe far condizione alle trattative. Ad avvalorare le quali insinuazioni qualcuno per lin buccinava che Carlo Alberto non si spingesse nel Veneto perchè disgustato della Repubblica. 1 Milanesi poi volentieri accoglievano le insinuazioni loro fatte sul punto della capitale; chè anzi la vera e sola cagione del primo lot# riserbo dicevasi essere stata quella di ottenere una tale promessa. Eppure se Venezia non altro conservava del primo suo atto politico fuorché un salutare fieno a non rompere la neutralità, gli altri, che erano siati primi autori della neutralità, ne dovevano anche essere i più fermi fautori. 1 Comitati dipartimentali veneti, e le città lombarde dovevano manifestare i loro pensamenti e i loro desiderii ai governi centrali, non mai rivolgersi direttamente nè a Carlo Alberto, nè a suoi coi tigiani. Carlo Alberto, che certo non poteva senza scortesia rifiutare le deputazioni, doveva esser interpretalo nel senso che i limiti competenti a chi presentava gli indirizzi, fossero categoricamente osservati, e che la forma legale fosse mantenuta. I suoi ministri, perchè ministri costituzionali, dovevano parlare essi soli, e dovevano ingiungere ai cortigiani del re un contegno totalmente opposto a quello seguito. Essi dovevano far comprendere a noi, ai Milanesi, ai cortigiani del re ebe, data la opportunità di costituire un grande Stato settentrionale, era nondimeno necessario, per fondere tutti i partiti nella maggioranza legale, di attendere il voto della Costituente, e che a preparar questo voto tutti i buoni dovevano cooperare. Infine il Governo lombardo doveva rimaner fedele al suo programma, mantenere le città di provincia lombarda nel dovuto legame col Governo centrale, evitare coi Comitati dipartimentali veneti ogni contatto che non fosse compatibile colla deferenza dovuta al Governo centrale veneto. Agli elementi di disordine fin qui toccati, un altro se ne aggiungeva, non so se solamente naturale, o da cui si abbia anche ad arte tratto profitto, voglio dir la paura. La resistenza che Carlo Alberto trovava tra le qualtro fortezze, resistenza allatto naturale da parte di un nemico ritiratosi senza voler esporre le sue forze in battaglia aperta, la invasione che gli Austriaci fecero in Friuli, perchè Durando, invece di recarsi a quella volta, recavasi a rinforzar l’ala destra di Carlo Alberto, il ritardo che le flotte napoletana e sarda mettevano a proteggere Venezia da un fantasma di blocco, il rifiuto della Svizzera a porgere assistenza, le esitazioni del re di Napoli e del Pontefice, la rivoluzione di Vienna fatta retrocedere sostituendo a Metternich Ficquelmont suo degno continuatore, le dimostrazioni ostili della Dieta di Francoforte, tutto fu considerato o fatto considerare qual cagion di pericolo. E di questo pericolo fu trovato il pronto ed efficace rimedio nella fusione immediata di queste provincie cogli Stali sardi, quasiché Carlo Alberto, per concorrere alla nostra difesa, avesse bisogno di considerarci per suoi, quasiché Carlo Alberto si stesse neghittoso e rifiutasse di aiutarci fino a tanto che noi non ci fossimo dichiarati suoi sudditi. Le quali cose ben considerando è manifesto che nè la paura era fondata, nè il rimedio opportuno o necessario. Carlo Alberto doveva difenderci e ci difendeva pel grande principio che solo giustifica e glorifica le sue armi, cjuello della indipendenza. Se Carlo Alberto combattendo n»n fece di più, io gli rendo l’onore di credere, come credo, ehe non potesse fare di più. Ognun vede poi che il rimedio, se non aggiungeva una dramma al soccorso piemontese, molto meno aggiungeva ai soccorsi delle altre parti d’Italia. 1 Siciliani, i IVa-P°lelani, i Romani, i Toscani non avrebbero per nulla diminuito il loro fervore pel solo accidente che si fosse da noi differito lo scioglimento delle questioni politiche. Ciò per la paura delle armi austriache. Vi era poi la paura delle interne dissen-Sl°nt. E, pare impossibile, ma pur è vero che si credette o si finse credere di poter ‘opprimere le d issensioni interne abbandonando la legalità, lo, invece, vedo chiarissimo c‘la, decidendo adesso e decidendo in un modo irregolare le questioni politiche, si toglie 'a grande causa della indipendenza la concordia di tutte le volontà, la cospirazione di jutte le forze; si toglie alla grande causa della libertà l’abnegazione di tutte le opinioni ln tacci* della maggioranza legale,