107 mesi; serbando ad altro tempo il rendiconto di quanto dissi ed operai, secondo le mie forze, a prò della Patria. Abbiamo ricevuto ¡1 TofFoli ed 10 dal governo del Popolo di Venezia in questi sci mesi franchi 7220, e riscossi dalla colletta 5101, che fa la somma di \0,521. Abbiamo pagati per conto di Venezia 5450 franchi ad altre persone: onde restano G871. IN'e abbiamo spesi nel viaggio di andata e ritorno 2215: restano 4658. In ispese di lettere e vetture, a Parigi necessarie e non leggiere, 2000 circa; restano 2G58. Nell’alloggio, mille; nella perdita del cambio delle monete 557; in \esliti 585: che somma a 4722; le (piali, detratte da 2658, lasciano franchi meno di mille. Questi servirono al vitto di due persone in poco men di sei mesi, alle altre spese tante che ognuno conosce, a quella delle mance, che non è da nulla, a qualche invito o presente indispensabile. Nè sarebbe bastata tal somma, sebbene il nostro vitto fosse modesto qual si conveniva a cittadini di cillà che chiedeva soccorso alle genli; più modesto che quando eravamo in Venezia; non bastava, dico, se io non vi avessi aggiunti quattro franchi al giorno di mio. Tanti a un dipresso io ne spendo al giorno in Venezia. Nè nel ministero nò nel viaggio ho voluto accrescere i pesi del Popolo; ma piuttosto i miei. Il vitto dunque di due persone in Parigi durante sei mesi è costato al popolo di Venezia meno di mille franchi. E quanto a tutte le spese insieme, se dai franchi 7220 che abbiamo ricevuti, si levano i 5450, spesi per altri, ne restano 5770; dai quali se si levano i 5101 avuti dalla colletta, resta che il popolo di Venezia ha speso per noi due in danaro vivo 669 franchi, cioè meno di 690 lire correnti. Non conto la promessa del Ronconi, e il parafuoco e la cassetta allottata : non conto que’ vestiti a me superflui i quali potranno essere distribuiti a’poveri o venduti per loro. Non ho ancora parlato d’ un risparmio che potei fare, e del quale dobbiamo^ voi ed io, gratitudine grande a chi u’ è benemerito. Se tutte le cose eli’ io scrissi a prò di Venezia e dell’ Italia in questi sei mesi ne' giornali, e a’ ministri di Francia, ai due presidenti della repubblica, ad altri uomini di stalo, a cittadini di autorità e di fama, uomini e donne, letterati e preti, militi e negozianti; se tutte le lettere e note e dispacci inviati in varii paesi di Francia, in Inghilterra e in Germania, in Unghe- 11 a e neU’Illirio, senza parlare del quasi giornaliero carteggio col governo del popolo di Venezia, e di quanto inviai a Firenze e a Roma; se di tutte queste cose, che comporrebbero due volumi, si fossero dovuto pagare le copie, non bastavano duemila franchi. E poi chi dicifrava la mia scrittura? E chi custodiva il segreto? Ma io ho ritrovato in Parigi un amico della mia giovanezza, l’abate Giovanni Stefani, che con gene-i’osità e pazienza più che fraterna copiò questo monte di scritti, e di più d’ uno ebbe a fare più copie da presentare a’ ministri. E in Firenze altro copista intelligente e amorevole ebbe Venezia, Emilio Viessù, nipote di quel Giampietro che primo avviò, egli privato, in Toscana le collette a prò di Venezia; di quel Giampietro \iessù col quale scrivendo ne’giornali e ne’libri da lui dati in luce, io per più di vent’anui ho combattuta 1 onorata e leal guerra dell’ingegno contro le bugie dei potenti e de’lor v|li e avidi servitori. Serbate dunque, o Veneziani, nella memoria i nomi di Giovanni Stefani, di Giampietro ed Emilio Viessù.