361 impossibile in quell’istante la guerra, nelle mie seguenti domande quella troppo indeterminata e temuta parola intervento, e imi ai ^ll termini l’assunto mio: liberare Venezia dal blocco, dimostrine e e ran ha cura di noi, mandare uffizioli che, venendo spontaneamente, non dessero pretesto a richiamo degli altri potentati; e quanto all in ero paese lombardo-veneto, non permettere che le sorti dell’una parte sien0 1 l’altra divise per modo che una sia Italia, Austria 1 altra. Pareva c domande, moderate così, fossero bene accolte, che le cose e eue o fossero coti alquanto più d’equità giudicate. A ciò giovarono pnmieia mente il generoso resistere di Venezia, poi le notizie per mio mezzo i-(use delle cose latte da Venezia e da’Veneti; notizie che non so o niil11 cavano ma erano a danno nostro falsate da uomini autorevo i, ere u i a’ nostri nemici. , Se non che certe mediazioni importune, e la divulgazione i cet e promesse, che fu smentita da’ fatti, mettendo un impaccio ai ministri francesi i quali n’ebbero dall’Inghilterra doglianze, nocqucro gravemente, sebbene il sig. Bastide con sua lettera cortese mi dimostrasse di ere eie che la colpa di tali indiscretezze era d’altri che mia, non poteva co es o contrattempo non rendere più guardinghi i ministri e il mio u! izio più duro. Ne’patimenti dell’animo ch’io sostenni per amore di questa caia città, uè li avrei certamente per mio proprio utile sostenuti, speio i avere osservato gelosamente quant’era debito alla vostra dignità, citta t-ni, e alla mia. Nè lasciai correre parola irriverente o pregiudìcevo e a Venezia, eh’ io non rispondessi con quella franchezza che piace alla nazione francese, e che agguaglia i miseri ai fortunati. Tale linguaggio, t l’aiuto d’uomini reputali, e quel poco d’autorità che mi veniva dal nome, resero meno intollerabile la mia condizione, alla quale però linda pumi del settembre pregai d’esser tolto. Non pertanto ristetti dall opetaie tutl’ i dì senza posa inlino all’ estremo. . Io chiedevo clic Francia, non immemore di quegli anni lontani quando Venezia prestava a lei le sue navi, prestasse a Venezia tan e delle proprie che la riconoscenza de’mari liberati e della fugata caies u si dovesse a lei sol«. E questo, tanto più, che i ministri non intendevano attribuire validità all’armistizio dell’agosto. Giacche, ragionavo io, e-uezia non dee essere intatta in forza di un patto sciagurato, dee essere in forza de’sacrosanti diritti dell’umanità, i quali spelta alla Francia 1ì-vendicare. E però quando i legni francesi o si allontanarono per a cun tempo, o, presenti, lasciarono legni nostri, innocui, andar preda a nemico, le nostre modeste doglianze, sorrette dalla buona disposizione ili que’ministri, impetrarono che il divieto di Francia diventasse un po pili efficace di prima. E già quando pensate a Messina, intenderete come Venezia debba essere riconoscente di quella cura che si prese Francia i lei. E quando saprete che nel mese d’agosto, non solamente Venezia e Lombardia e il Piemonte e Sicilia invocarono gli aiuti francesi, ma l’io IX stesso con lettera di sua inano chiedeva indarno al generale Ca-vaignac de’militi della repubblica, non vi farete più meraviglia che Venezia non sia stata ne’suoi desiderii più pienamente esaudita. E pine, tanto il generai Gavaignac quanto il ministro Bastide si dicevano Icrnu