443 Nò a eiò si ristrinsero le nostre cure; poiché, procedendo più innanzi, usammo lutti i mezzi che sono in facoltà nostra per impedire P intervento forestiero, e offrimmo a Roma e al Santo Padre gli ullicii benevoli e conciliativi del Piemonte. E qui ci sia lecito il dirvi, senza preoccupar Favvenire e prevaricare i riguardi che ci sono imposti, aver qualche fondamento di credere le disposizioni personali del Santo Padre e del governo romano essere favorevoli alla riconciliazione; entrambi aborrire dall’uso profano della forza, ed esser pieni di riverenza verso i diritti costituzionali F uno dell’ altro. Guardiamoci, o signori, di confondere coi rettori di Roma pochi faziosi, che talvolta si aggiudicano il loro nome. Certo, molte opere illegali, dolorose, funeste, attristarono la città santa; ma sarebbe somma ingiustizia l’attribuirle a quel generoso popolo ed agli uomini onorandi, che lo reggono. I quali accettarono l’ufficio pericoloso, non già per porre in dubbio, e meno ancora per usurpare la potestà legittima, ma per ovviare ai disordini ed impedire clie, durante l’assenza del capo, il maneggio delle cose cadesse alle mani dei tristi. Essi sortirono in parte F intento, e ostarono che l’anarchia regnasse in Roma; pietoso ufficio, di cui tutti dobbiamo loro essere riconoscenti, e che a niuno dee tornar più grato che al cuore paterno del Pontefice. Ria queste nostre speranze non sono scompagnate da gravi timori; insegnandoci la storia che, nei tempi di rivoluzione, i malvagi e gli sconsigliali spesso ai buoni e savii prevalgono. Finche dunque incerto è l’esito dell’Assemblea, convocata nell’Italia centrale, noi dobbiamo stare in aspettativa. Nè da questo niuno può equamente inferire che siamo poco solleciti dell’unione italiana, quando ogni nostro procedere argomenta il contrario. Se le pratiche della Dieta federativa, già da noi imprese e bene inviate,, sono per ora sospese, di chi è la colpa ? Non è forse di coloro, che misero avanti un concetto contrario? Ma egli è manifesto che il governo sardo, attenendosi fermamente ai disegni già concertali, e ricusando di mutarli, si mostrò ricordevole del suo decoro; imperocché, se ad ogni moto che succeda in questa o quella provincia noi dovessimo mutar tenore, ci renderemmo ridicoli e sprezzabili al cospetto d’Italia e d’Europa. Il credilo, o signori, è la base della politica non meno che del traffico e dell’industria; il che ci richiama all’altro punto, con cui dobbiamo chiudere il nostro discorso. Fra i varii difetti, che screditano i governanti, pessimo è quello di non avere cuore, nè forza per resistere ai conati tumultuarli ed alle sette intemperate. Noi, levando F insegna della democrazia, e chiamandola conciliatrice, legale, desiderosa di abbracciare l'itte le classi e di stringerle al seno, l’abbiamo distinta da quella larva, che demagogia si appella ed è la sua maggiore nemica. La democrazia, 0 signori, differisce tanto dalla demagogia, quanto la libertà dalla licenza, ed il civile principato dal dominio dispotico. Ed il suo carattere partico-lare risiede nel rispetto alla legge, nell’amor dell’ordine, nell’osservanza dell’umanità e della giustizia, nella forte moderazione delle idee e dei portamenti. Queste parli, ed in ispecie l’ordine, onde le altre doli sono una derivazione, si richieggono alla perfezione di ogni stalo; ma se in