70 quando, il 5 settembre, il nuovo arcivescovo Romiti fece il solenne suo ingresso in Milano; e basta leggere gli avvisi pubblicati dalla polizia in quell’occasione, e confrontarli con altri analoghi della Municipalità, per rilevare come la polizia si alimentasse di fiele a fronte della gioia del pubblico, cui, per aver ottenuto un arcivescovo italiano e non tedesco, pareva di avere ottenuta una vittoria. Immenso popolo era accorso dalle vicine provincie a Milano, e la sera del 5, essendovi una magnifica illuminazione, quasi trecento mila persone si erano affollate nel centro della città; la polizia aveva preparati i suoi poliziotti onde suscitare qualche tumulto, indi fare 111*11 bassa sulla popolazione. Ma la Provvidenza salvò Milano. Quando lo spettacolo era nel più bello, e la moltitudine più affollata, una pioggia improvvisa e dirottissima fece tutti fuggire. La polizia non si disanimò per questo. La sera dell’ otto, essendosi ripetuta l’illuminazione, nacquero le tragedie di piazza Fontana, ove il Bolza, spingendo i poliziotti contro la tranquilla moltitudine, colle sciabole, e colle baionette, molti rimasero feriti, ed uno vi perdette la vita. II Municipio ne mosse gravi querele al governo, che furono mandate a Vienna ; la violenza era evidente, i fatti erano constatali. Ma, dieci o dodici giorni dopo, che giunse da Vienna? Che il Bolza e i poliziotti fossero ricompensati in denaro e ringraziati del loro zelo pel pubblico servizio. Potevasi trattare con maggior disprezzo e fare un affronto più .sanguinoso al primario, e più onorando corpo municipale del Lombardo-Veneto ? Lodati ed incoraggiati gli eecidii degli otto settembre, la oltracotanza della polizia e dei suoi sgherri si fece sempre più audace; ma, in onta alle incessanti provocazioni loro, diurne e notturne, quando contro le masse e quando contro gl’individui, il contegno della popolazione milanese, e in generale di tutto il Lombardo-Veneto, fu mai sempre ammirabile: di che ne possono far fede i varii consoli ed agenti diplomatici delle potenze esterne, laddove il procedere della polizia fu, non pur vile e concitatore, ma sommamente immorale. Gran numero di spie e di agenti provocatori furono chiamati in Milano da varie parti della monarchia, e disseminati per le osterie, le trattorie, i Caffè, i teatri. Pel solo teatro della Scala, la polizia distribuiva circa trecento biglietti; ma tulle queste malefiche arti, messe in uso per suscitare una rivoluzione, onde aver poscia il bel merito di comprimerla colla forza, furono rese vane dalla prudenza del popolo, prudenza quasi prodigiosa e che si mostrava eguale dalle più eminenti alle intime classi. Invero, l’opposizione, attizzata dalle improvvide misure dello stesso governo, cresceva; ma era un’opposizione di opinione e di spirilo, senza che venisse giammai a nessuna manifestazione di fatti. Si parlava alto nelle case e nei luoghi pubblici, si censurava la cieca ostinazione del governo, si dicevano facezie, si facevano iscrizioni sulle pareti esterne delle case, che rivelavano i desidera del pubblico; ma nulla più. In quel tempo, cioè al principio di settembre, arrivava in Milano il conte Ficquelmont, mandato dalla corte con una di quelle missioni duplici e misteriose, con cui l’Austria suole illudere e ingannare i popoli. Dice-