505 il buon senno del popolo e la sua indole pacifica delusero costantemente gli arlilìzii di un governo immorale; nè si sollevarono, se 11011 dopoché lurono spinti a quegli estremi disperati, che gettano le umane risoluzioni a scegliere tra la vita e la morte. Eppure la pazienza de’ Milanesi fu assai più longanime che non quella de’Viennesi. Vienna era stata sino allora la città favorita dall’Austria; e, per farla prosperare, furono sacrificate tutte le altre, e segnatamente le città del Lombardo-Veneto. A Vienna andavano a colare tutte le ricchezze dell impero; il commercio di Vienna era privilegialo sopra ogni altro; e in questa capitale tendeva il governo a centralizzare tutti gli affari di una vasta monarchia. Malgrado tutti questi vantaggi, la paralisi, che colpiva lentamente lo stato, ivi pure si faceva sentire. Gravezza d’imposte, crescente debito pubblico, scomparizione del numerario, aumento di carta monelata, stagnazione di commercio, detrimento di lavori, carezza di viveri, erano fatti che si rendevano ogni giorno più sensibili; e già comiu-ciavasi a scorgere che la macchina dello slato, nelle mani di una burocrazia misteriosa e formalistica non poteva più reggere. Alcuni anni prima, il barone Vittore Andrian, in un libro che fece molto rumore in Europa, e che fu tradotto in varie lingue, aveva rivelate una parte delle piaghe, che rodevano l’Austria; e d’allora in poi lo spirilo d’indagine e di discussione, promosso eziandio dalle discussioni che la Dieta d’Ungheria teneva nella vicina Presburgo, si fece più vivo e solerle. L’amministrazione, la polizia, la censura, il credito, le finanze, lo stato di fermento, in cui erano i popoli, furono attaccali in vario modo; ma i colpi più aspri andavano contro l’arcicaucelliere Mettermeli, e il capo della polizia, conte Sedlnilzky. Questa polemica, che passò anche nei liberi discorsi orali, si fece più ardita dopo la rivoluzione di Francia; e gli affari di Italia e d’Ungheria contribuivano ad inasprire gli umori contro un governo, che non sapeva governare altrimenti che colla polizia, e che ai bisogni sciamanti de’popoli dava risposte brutali o gli redarguiva colla forza. Si veuiie per ultimo alla rivoluzione del 15 marzo, che pose fine al lungo impero di Mettermeli, e che fu annunciata in Milano la mattina del 18 con queste parole: « S. M. 1. R. l’imperatore ha determinato di abolire la censura, e « di far pubblicare sollecitamente una legge sulla stampa, non che di « convocare gli Stali dei regni tedeschi, slavi e Congregazioni centrali « del regno lombardo-veneto. L’adunanza avrà luogo al più tardi il 3 « del prossimo venturo mese di luglio. » La proroga presa dall’imperatore non era'breve; e chi conosce quanto all’Austria giovino le proroghe, sa benissimo a che si sarebbero risolte le promesse imperiali nel lasso di tre mesi e mezzo. Se i Viennesi non ci credettero e sforzarono l’imperatore ad abbreviare la sua proroga, tanto meno ci dovevano credere gl’Italiam, che avevano molto maggiori »agioni di diffidare di un governo, in cui la inala fede è passata in proverbio. Il magistrato municipale, eccitalo eziandio dal popolo, chiese alcune garanlie, che furono ricusate. Si negò persino di levare la legge stataria, e di^are la libertà ai numerosi imprigionali per colpe politiche. 11 direttore di polizia Torresani si ostinò a non recedere di un apice dal