366 Rivengo alla Francia. Tranne poche persone irremissibilmente dannate alle fallacie della vechia politica, per lutto io ho inteso profferire il nome di Venezia con rispetto, e curai quant’era in me di non renderlo meno rispettabile con gli atti mici. Non nella quantità del dispendio ho riposta la dignità del mio uffizio ; e di ciò fu da me reso conto al popolo veneziano con esattezza che ad altri parve minuziosa, ma che i veraci estimatori del popolo vorranno, in questo momento di prodiga miserabilità, scusare, se non imitare. Tranne le difficoltà oppostemi dalle indiscretezze accennatevi, io non ho che a lodarmi della cortesia dimostrata a me dai Francesi. Le accoglienze amorevoli latte al debole, sono cosa non pur generosa, ma cauta. Perchè quell’uomo eh’è ultimo nella lubrica scala diplomatica, ne’gradi dell’umana dignità potrebbe avere altro luogo; perchè l’inviato d’una città sola « abbandonata dai grandi della terra, potrebb’essere l’apostolo d’un principio rinnovator delle genti; perchè quel mendico che picchia alla tua porta chiedendo l’elemosina, non per sè ma pei diritti dell’umanità umiliata, quel mendico è forse il tuo giudice. Checché paia in contrario, Venezia, ripeto, deve riconoscenza alla Francia. Mi fu grato vedere che quando Giulio Bastide si sapeva già dover lasciare il suo posto, tra i diciotto venuti all'ultima sua conversazione di ministro, dieci fossero gl’italiani; e mi parve di buon augurio che gl’italiani sapessero corteggiar la sventura, se pure il deliberarsi da un ministero può parere sventura. Quando l’Italia ciecamente adorava quel ch’è meno imitabile nelle cose francesi, io condannai altamente codesto rinnegare la natura propria per contraffare l’altrui; ora che taluni, delusi delle credule speranze, corrono all’eccesso contrario, è dover mio riprendere codesto imprudente e non generoso disprezzo. Rispettiamo noi stessi e la Francia, nè troppo aspettando nè disperando di lei: e tenghiamo per fermo che quand’ella si risenta, e conosca la forza propria, il proprio dovere, la propria utilità, può in un tratto decidere le sorti nostre; perchè, quand’ella lo voglia, il suo cenno è comando, la sua parola fa vece di possente battaglia. II presidente: Invito il relatore della Commissione per l’indirizzo agli stali italiani sulla carta monetala, a leggere il proprio rapporto. Il ruppresentante Rensovich: La Commissione ba dovuto ritardare ad adempiere ali’obbligo suo, e per la rinuncia dell’illustre Tommaseo, e perchè uno dei membri della medesima fu colpito da domestica sventura. La Commissione stessa ha ritenuto che cessasse il motivo di fare indirizzo al Piemonte, quando la sovvenzione mensile è un fatto compiuto. Non ha credulo perciò, trattandosi che la sovvenzione è stata decretata recentemente, fare indirizzo nuovo per avere nuovi sussidii. Quanto alla Toscana ed alla Romagna, per la identità delle condizioni, e per le relazioni che corrono tra questi due stali e quello di Venezia, si ritenne di fare un indirizzo solo, salva qualche modificazione relativamente allo stato romano, con cui si trova il nostro in relazione per ragioni di commercio e per anticipazioni fatte a titolo di pagamento alle truppe, che qui hanno militato.