54 ciò capace, l’aveva tradotto in una parola, che tosto s’incarnava nella pratica — la Costituente romana. La Costituente romana era il grido, che si levava spontaneo, generale, irresistibile da ogni parte. L’opporsi sarebbe stato ad un tempo disconoscere la necessità, e la volontà del paese. Fra il principe assente presso lo straniero, che sembrava non ammettere mezzi di riconciliazione, e la nazione che volea fondare sopra una base stabile i proprii destini, non v’era da esitare. In questa condizione di cose si trovava lo stato, quando ebbe luogo il nostro avvenimento al potere, e l’assunzione di quella responsabilità, di cui veniamo a render conto. La sovranità, che professiamo e riconosciamo sempre esistente nel popolo per diritto, partito il sovrano, vi esisteva anche di fatto. Fu dunque ad esso che conveniva ricorrere ed appellarsi per uscire dal bivio terribile fra la sommissione alla tirannide e gii orrori minacciosi dell’anarchia. Presentammo in conseguenza al Consiglio dei deputati la proposizione di convocare un’Assembla a suffragio diretto ed universale, conforme al principio della pura democrazia, che è la religione politica dell’Europa attuale; principio di giustizia per quanti credono nel dogma della uguaglianza, e, nello stato attuale, per noi divenuta una logica necessità, quando si doveva interrogare la sovranità popolare. Trovammo in quegli uomini, altronde rispettabili, dove perplessità, dove pusillanimità^ dove dichiarazione d’incompetenza e difetto di mandalo, dove anco contrarietà assoluta. Aggiungasi che molti di loro si erano ritirati, altri si assentavano dalle sedute; cosicché ogni deliberazione, per difetto di numero legale, si procrastinava, anzi si rendeva impossibile. Risolvemmo perciò di pronunziarne la chiusura, d’altronde regolarissima perchè l’anno della legislatura toccava il suo fine. Divenuti liberi appena, ecco nuovo imbarazzo. La Giunta di stato, composta d’uomini d’universale fiducia ed estimazione, fu una misura felice, un temperamento prudente, nella vedovanza del trono. Se non che^ l’improvvisa rinunzia del presidente ne trasse seco la dissoluzione. Rimasti soli al timone dello stato, senza principe, senza reggenza, senza Consigli legislativi, vedemmo eon compiacenza l’adesione del paese alla risoluzione di formare col nostro ministero una Commissione provvisoria di governo per lo stalo romano. Fu obbedito ai nostri ordini, furono eseguite le nostre leggi, fu conservata per tutto una tranquillità ammirabile; ci pervennero da tutte parti indirizzi di approvazione e di simpatia; le potenze italiane e straniere mantennero con noi relazioni officiose, ed alcune poco meno che officiali. Una delle prime nostre operazioni fu la sanzione della legge sulla convocazione e l’organizzazione dell’Assembla nazionale dello stato, che avevamo noi stessi iniziata e proposta sotto il regime de’corpi legislativi. Voi sapete con quali difficoltà ci convenne lottare, e quali ostacoli ci si suscitarono contro per distruggere questa speranza suprema della nostra salute, odio e spavento della reazione, e di quanti aspiravano nel segreto contro i progressi della nostra vita politica. Il clero ci fulminava, i funzionarii ci abbandonavano, le potestà ci