448 evviva nella successiva domenica al teatro della Fenice tanto al PalfTjr che a sua moglie e a Ferdinando re costituzionale, intanto egli si adoperava a disporre la civica nei principali posti della città, e moltiplicare le ronde forti perfino di cinquanta uomini ciascuna. Avvisato Manin dell’infame tradimento ordito dal Marinovich e che Venezia era in gravissimo pericolo, fu di necessità l’opèrare e Manin operò, che al pericolo estremo duopo era un’arrischiata risolutezza. Convocò la notte precedente il 22 marzo alquanti generosi cittadini in sua casa e si discusse intorno ai modi, e venne risoluto di esporre le proprie vile, ma doversi impossessare dell’Arsenale e gridare — Viva S. Marco. — Spuntava il 22 marzo; l’odiato Marinovich portatosi ali’Arsenale là vi trovò la morte, massacrato dagli stessi Arsenalotti, e pagò il fio ili tante se\izie. Questo fu il segnale della redenziou di Venezia; quella morte fu il primo miracolo di Maria, quell’istessa mattina esposta. Airannunzio che Marinovich era morto, Manin invia nH’Àrsenale grosse compagnie di civica, altre ne manda a bordo la Clemenza, equipaggiala di Croati, e sul Piroscafo che doveva trasportare il rinnegato dalmata dopo che avesse consumato l’esecrando misfatto. Manin chiama il figlio Giorgio e — l’Arsenaìe ci aspetta — gli dice. La moglie al vederli partire, senza una lagrima gli dice — coraggio! forse ci metti la vita. — Può darsi — freddamente rispondevate il marito. Imperterrito Manin entra nell’Arsenale con quanta civica ha potuto radunar dietro via, la dispone nell’interno, fa circuire l'uffizialità inlimandogli il silenzio, fa prigioniero il vice-ammiraglio de Martini, ordina si suonasse la campana che chiama le maestranze, e le maestranze comparvero. Allora Manin chiese la chiave della sala d’armi, e ordinò si contassero sull’orologio cinque minuti, quindi si fondasse la porta se non gli fosse consegnata e la chiave gli fu presentata. Si armò la civica e le maestranze, cedette il comando dell’Arsenale al colonnello Oraziani, promulgò la vittoria, la moderazione e la pace; echegiaron gli evviva della fiducia e del gaudio. Così Manin con poca civica e male armala seppe vincere l’Arsenale. Fra gli evviva la moltitudine ebra di gioia alla gran piazza lo seguìa, la marina italiana si associò al popolo, innalzando i colori della libertà. Intanto nel palazzo, ora nazionale, si obbligava i due governatori Palffy e Zichy a dimettersi, e giungeva allora Manin quando fìrmavasi la capitolazione della cessione della città e Cortezza di Venezia. Promulgata tale cessione, uno solo fu il grido di mille e mille voci — Viva l’Italia ! Viva la libertà ! — Le truppe italiane si fraternizzarono col popolo, e i baci e gli abbracci dimostravano l’ebrezza di tale gioia. Manin con brevi e forti parole raccomandava l’ordine e la moderazione, a’concitladini mandava e ripeteva — l’Evviva alla Repubblica di S. Marco. — L’aria rimbombava d’innumerabili voci, tutta Venezia echeggiò di questo grido, distruggendo a furore tutte le insegne dell’abborrita schiavitù. Manin per voto generale assurnè come Presidente le redini del Governo della Repubblica Veneta, e le tenne finché nell’Assemblea generale del 3 luglio sagrili1^ sull altare della Patria e pella grande idea della Unione italiana, ogni sua opinione e volontario dimessosi dagli affari pubblici si condusse da prol)0 cittadino, e lo si vide qual semplice milite accorrere, fra la guardia cil-