— 63 — Non avevo mai sentito a suonar l’organo e già da molto tempo avevo stabilito che, da maritata, sarei andata a far colazione in trattoria. La colazione fu molto allegra. Mi ricordo che, la prima volta, la bellezza di Elena Pavlovna non mi fece grande impressione. Mi colpì soltanto il suo sguardo strano, enim-matico che sembrava guardasse lontano, lontano. Pareva come se in quegli occhi verdognoli fosse rimasta presa dal gelo, una domanda, alla quale nessuno aveva potuto rispondere. Dopo colazione la prese una nuova fantasia : recarsi da un fotografo e farsi ritrarre in gruppo, per memoria dell’incontro. Noi, naturalmente soddisfacemmo a questo suo desiderio e il gruppo, che poi io chiamai «profetico» mi rimane adesso come unico ricordo del passato. La sera dello stesso giorno partimmo tutti insieme da Mosca, per la campagna. Le nostre proprietà distavano fra loro non più di 4 verste, e naturalmente, ci vedevamo ogni giorno. Un paio di mesi più tardi, cominciai ad osservare che lo sguardo enimmatico si arrestava sovente su di me... Che io mi innamorassi di Elena Pavlovna non v’è nulla di strano; ma perchè mai s’innamorasse lei della mia persona, non sono mai riuscito, finora, a spiegarmelo. Aljoscia era molto più bello di me, ed anche da tutti gli altri punti di vista, non oso nemmeno paragonarmi a lui... E il nostro romanzo cominciò quando non erano ancora passati sei mesi da che s’erano sposati. Più tardi, quando mi presi a giudicare la mia condotta mi consolava l’idea di aver combattuto a lungo quel sentimento. Ahimè!... Debbo purtroppo confessare che sebbene io lo combattessi, la lotta non fu soverchiamente tenace. Se io fossi stato veramente onesto, sarei partito senza aspettare che spirasse il mio congedo. Invece, non partii; chiesi ed ottenni una proroga; più tardi diedi le dimissioni, mi feci nominare giudice conciliatore e passai due