— 191 — che io, la mia fine sventurata, voglia offrire altrui, come esempio. Io non mi rivesto del manto dell’ eroe e credetemi, io, tutta la mia vita, tormentosamente, me stesso ho disprezzato. E che sono io? Io non sono altro che un misero e debole essere umano, magari forse, un po’..... malato di spirito. Voi potete saperlo meglio di me. Voi spesso, ogni giorno Vedete soggetti di questa specie. Confrontate ciò che di loro troverete scritto, e, tenendo in considerazione i dettami della scienza, pronunciate la sentenza. « Addio dunque, amabile procuratore... Mi spiace di non potervi dire « arrivederci » La lettera è finita e bevuto ho fino al fondo la mia bottiglia di cattivo vino. Ho aperto la finestra. Sulle vie deserte, le nubi, come un enorme massa nera, guardano. Soffia il vento autunnale e goccie di pioggia cadono pigre, come lacrime di vecchio. I fanali sono spenti. Sembra che, senza volerlo la nostra allegra città siasi addormentata in una gelida [nebbia e s’è perduto, lontano, l’ ultimo romor delle carrozze... E così è passata un’ora, due ore... e fors’anche di più, io nón lo so. D’un tratto nel silenzio della notte netto, prolungato, tedioso, risuona lontano un fischio di locomotiva... Oh! questo suono da tanto tempo m’è noto! Nelle ore d’insonnia, fino alla rabbia, fino al furore esso mi turbava talvolta, ricordandomi l’avvicinarsi del giorno.... Chi è che a noi viene in questo treno? Che ospiti sono? Operai, s’intende, povera gente...