— 175 — 25 Settembre. Come un antico, abbandonato amico 10 ti guardo, o quaderno dimenticato! Per quattro mesi, nell’abbattimento della malattia non potei confidarti l’anima mia. Delle temerarie parole, delle mie querimonie peccaminose, 11 Signore mi ha giustamente punito. Un giorno, in estate, i frati nel vestibolo della chiesa, mi trovarono, al nascer dell’alba, e mi portarono nella cella. Io ricordo che, sul principio, il male spietatamente mi tormentava: ora un chiodo insopportabile, torturandomi le notti, nel mio cervello in fiamme, si agitava; or mi parea che non so quale tempio con le sue colonne, mi fosse precipitato sul petto, e dall’amarezza e dalla sete ero straziato. Poi cessò il dolore, gli slanci dell’amarezza cessarono, ed io, muto, immobile (mi sembrava), ero coricato sul fondo di un mare sconosciuto. In mezzo ad opachi, eterni vapori, io distinguevo soltanto il moto delle onde, ed erano, quelle onde, tanto dolci e tiepide; tanto carezzevole mi sembrava il contatto delle loro sottili fluide vene. Una specialmente ve n’era, buona, caldissima onda. Io l’aspettavo. Spesso, da lontano la seguivo con l’occhio, ed essa avanzava come un’alta e si spezzava sopra di me, [muraglia e nel mio sangue penetrava profondamente. Non di rado mi destavo io dal sonno ed avevo paura;... e la notte era nera... Allora, da un terrore involontario invaso, mi affrettavo di cercar di nuovo l’oblio del sonno e di nuovo eccomi coricato sul fondo del mare,