— 189 — tutti i giorni vissuti in tormentosi allarmi, tutte le notti passate in lacrime, tutto ciò, insomma, di che son io debitore agli uomini fratelli, io lancerei contro la vita una maledizione tale che potrebbe tremarne ne’ cieli il Creatore! Ma io non sono stato educato così: al rispetto io sono avvezzo, delle cose sacre e, senza mormorar contro la Provvidenza, innanzi ad Essa rispettosamente m’inchino. In quale rubrica mi iscriverete? Chi è colpevole? l’amore?... la scienza?... o lo spleen?... Ma dato; pure che non troviate cause plausibili, voi non considererete certo il mio gesto come uno scatto inconsiderato. Io ricordo perfino il giorno in cui, dimenticato il mondo [intiero lessi e bruciai degli scritti a me cari e l’idea del suicidio mi si presentò per la prima volta alla [mente. Allora, in me stesso, tutto era già consunto spezzato, calpestato e... confusa da principio, quell’idea, nel cuore infermo, come seme in propizio terreno, cadde. Essa si nascose nel più profondo dell’anima sotto un mucchio di cenere che covava brace; fra i gravosi pensieri, nella quete notturna coscientemente essa si perfezionò, prese consistenza. Voi, guardatevi un po’ d’attorno: non sono io solo che cerco salvazione nella eterna quete! In epoca, noi viviamo, di generale prostrazione. Una specie di morboso contagio, un’epidemia di peste morale sopra di noi si libra e afferra ed agita