— 69 - 25 Dicembre Ieri, dopo cinquanta giorni di prigionia, sono stato finalmente rimesso in libertà. Come prima uscita, mi recai da Maria Petrovna, che aveva invitato i suoi amici ad un albero di Natale. Di quest’albero, si parlava già da un mese in tero. Come ho già detto più sopra, Maria Petrovna non ama i grandi ricevimenti in casa sua, essendo persuasa che tutti ci si annoiano. Essa giudica gli altri alla sua stessa stregua. Trovandosi in compagnia di persone che conosce poco, non può trattenere un primo sbadiglio. Essa cerca di curare questa imperfezione con l’omeopatia, ma con risultato del tutto negativo. Dicono che una, volta conversando in un salottino, con tre mamme, le cui figliuole ballavano nel salone, si addormentò profondamente. Si è decisa ad organizzare quest’albero per far piacere a sua nipote, e ciò prova che le vuole un bene dell’anima. in questi ultimi tempi mi sono talmente abituato alla solitudine e alla luce della mia lampada, attenuata da un paralume scuro, che, entrando nel salone di Maria Petrovna, rimasi addirittura colpito dal fulgore delle candele e dalla gran folla dei convenuti. Vi era una quantità di bambini di ogni età, ma erano ancor più numerosi i grandi. Sulla porta del salone, come un «memento mori», stava in piedi il mio medico curante. Indossava una marsina all’ultima moda; portava una cravatta di raso bianco, e sul petto, gli sfolgorava un bottone con un brillante enorme, probabilmente falso. Mi guardò da capo a piedi, mi battè sulla spalla in aria di protezione e disse: — Via ! Non c’è male. Però non mangiate gelato. Con difficoltà mi feci strada fino a Maria Petrovna. Non direi che avesse l’aria annoiata, ma era d’umore piuttosto malinconico. Gliene domandai il perchè.