— 115 — sì sprigionavano ancora gli effluvi dell’infanzia indimenticabile, pura e piena di luce. Giunsi alla « Vassilievka » di notte. Quando mi svegliai, il giorno seguente, ed uscii sul balcone, davanti al quale fioriva e spandeva jprofumi tutta una macchia di rosai, e quando la mia vecchia Pelagheja Ivanovna mi recò il caffè, nella grande tazza turchina con certi pastorelli dipinti su, io sentii che il gravoso peso degli anni mi era addirittura caduto dalle spalle. Durante il viaggio, avevo ancora provato alcune volte, una gran debolezza : quell’angolo del paese nativo mi aveva, d’un tratto, restituito le forze. Visitai tutta la casa e con passo svelto corsi su al primo piano, nella stanza che era stata mia e di mio fratello quand’eravamo piccini. La stanza non aveva subito nessun cambiamento. La grande tavola nera, tutta tagliuzzata a colpi di temperino, stava come prima, nell’angolo fra le finestre e la stufa; i nostri letticciuoli erano ancora , lì, anch’essi, l'uno vicino all’altro. Soltanto la carta, sui muri, s’era tutta screpolata e le tendine delle finestre erano tutte scolorite. Aprii la finestra grande, presso la quale, altre volte, sedevo per ore e ore, pensieroso, guardando fisso il limite della intricata foresta che turchineggiava a destra, al di là della strada maestra. Adesso la foresta è stata tagliata ed in suo luogo si vede la striscia turchina del fiume che va serpeggiando pel piano, e che, prima, gli alberi impedivano di vedere. Il panorama è forse più bello così com’è ora; ma io rimpiansi la foresta abbattuta e volsi con gioia lo sguardo a sinistra, dov’erano ancora intatte le rovine della vecchia cucina. Avevo dieci anni quando fabbricarono la cucina nuova, di pietra; ma lì vicino, non so perchè, è rimasta sempre quella vecchia, di legno, mezzo marcita. Mi rallegrai pure al vedere ancora in piedi il pozzo, già da gran tempo colmato di terra, e una lunga pertica presso l’entrata del dell’orto. Vi si metteva, in cima, un fantoccio vestito di nero, per far