— 107 amici. 11 secondo medico mi ha anzi detto in tono triste : «Cerchi di pensare il meno possibile», cosa un po’difficile quando si soffre d’insonnia. Maria Petrovna ha il permesso di farmi visita, perchè gode della speciale protezione del dottore. Ahimè!... Ieri mi ha veduto in veste da camera e, senza dubbio, si sarà di nuovo ricordata del suo Ossip Vassilievic, «d’impéris-sable mémoire ». È strano: la questione della morte mi ha sempre interessato; fin da quando ero bambino. Quest’idea suscitava allora in me il più superstizioso spavento. La morte d’una persona che magari avevo appena conosciuta, mi toglieva, per più giorni, appetito o sonno. Poi questo spavento disparve, ma passarono molti anni prima che potessi abituarmi all’ idea, del resto abbastanza diffusa fra la gente, che tutti debbono morire : e buoni, e cattivi, e poveri, e ricchi, e vecchi e giovani. Soltanto in questo, gli uomini sono riusciti ad ottenere eguaglianza assoluta. Dall’idea che tutti debbono morire a quella che « morrò anch’ io » — la distanza è ancora più grande. A quest’ultima idea, io ci sono venuto soltanto ieri. Non posso dire di aver troppo paura della morte. Del resto, vale poi la pena d’averne paura quando, tanto chi la teme come chi non la teme, va soggetto alla medesima sorte? Avevo un compagno che molto la temeva, e che aveva regolato la propria esistenza nei più minuti particolari. Non c’era mai caso che mangiasse un boccone soverchio a tavola, che ritardasse di qualche minuto secondo l’ora fissata per coricarsi. Le distanze fra i vari punti del suo giardino erano state misurate con estrema esattezza e quando, la mattina, faceva la sua passeggiata, dava sempre del piede in un vecchio tiglio piantato in fondo al viale, per provare a se stesso di aver percorso il numero prestabilito di passi. Malgrado tutte queste precauzioni, morì prima d’arrivare