— 35 — ma formava una specie di massa compatta, pari a quella nuvola d’incenso che talvolta, salendo dal turibolo, si leva e resta immobile in mezzo al tempio. Il mio cuore si riempì di tenerezza e di un fraterno sentimento di pietà per le sofferenze di quel popolo. Anch’io caddi in ginocchio e perdei ogni senso delle cose esteriori. Quando tornai in me, la chiesa era vuota; tutte le candele erano spente; soltanto una piccola lampada ardeva innanzi al volto oscuro della Madre di Dio. A quella luce scialba, l’espressione del Sacro Volto appariva mutata. Non v’era pietà; gli occhi guardavano indifferenti e severi. Uscii dalla chiesa con la lontana speranza d’incontrare qualcuno... Ahimè! intorno a me, lo stesso silenzio, lo stesso deserto. Come prima, il cielo era di un grigio tutto eguale; come prima, la pioggia minuta si accaniva sulle foglie giallo-brune, e di nuovo, lo stesso vento, insopportabile vento, piegava fino a terra i rami spogli delle betulle e torturava l’anima col suo sibilare monotono. VII. Gli orizzonti della mia memoria si andavano facendo sempre più vasti. Innanzi a me passavano paesi lontani, dimenticati e, a quanto mi sembrava, sconosciuti; foreste selvaggie, lotte titaniche nelle quali, agli uomini si frammischiavano le belve. Ma non erano che contorni nebulosi dai quali non scaturiva ancora un’immagine precisa. In mezzo a tutte queste apparizioni prese forma una bambina vestita tutta color di celeste. Quella bambina io la conoscevo da gran tempo. Durante la mia ultima incarnazione essa talvolta, raramente, mi appariva in sogno e questi sogni io li consideravo sempre come di cattivo augurio. Era una bambina di un dieci anni, magra, pallida, e bruttina; soltanto gli occhi avea bellissimi, neri profondi, con