— 161 — La grigia sera d’ottobre s’era spenta e la foresta mi apparve come una triste sepoltura, tant’era allora tetra e malinconica!... Adesso rifulgeva, invece, di bellezza senza pari. Pieno di delizia, come un piccino fanciulletto, io le pupille spalancai. Avvolto in un manto di broccato scintillante, sorgeva innanzi a me un pino gigantesco. Tutt’intorno, una quiete così profonda, che, violarla, io temevo col respirare. Gli alberi di armonica struttura, luminosi come i cieli, parea conducessero nelle profondità d’un giardino d’argento, e i fiocchi di neve, vellutati, pesanti, pendevano dai rami, come grappoli d’uva. Io, a lungo rimasi, senza pensiero e senza parola... Quando il primo colpo dell’accetta risuonò tutta la foresta si prese a favellare, a scalpicciare, a ridere come se vi fossero migliaia di passeggiatori invisibili. Le gote mi sferzava il gelo iroso ed io abbattevo, abbattevo, solo, nel più folto della foresta... Al meriggio tornai a casa stanco, coperto di nevischio, Oh! mai amici miei, ero stato così lieto e così felice, io nei vostri ritrovi monotoni e nei cinici festini, nelle vostre feste tra il faceto e il funereo nelle vòstre noiose merende a bocca e borsa! (1), (1) Il testo russo dice «piqué niques». Il Fanfani mi fornisce questa traduzione « a bocca e borsa > che io mi permetto di adoperare per 1’ avversione che ho per le parole straniere qiiando v’è modo di sostituirvi termini della nostra lingua. Se ho errato, ne chieggo scusa all’ autore ed a quei pochi che leggeranno questa mia traduzione. (N. d. T.)