— 49 — e ha ridestato la mia coscienza da tanto tempo addormentata. A lungo non mi è stato possibile staccarmi da questo testimonio muto delle passate burrasche; poi... mi sono seduto davanti allo specchio, e mi sono messo a confrontare il mio viso d’ adesso e quello dei ritratti. A mio parere rassomiglio più di tutto, al ritratto vestito da paggio. Quasi lo stesso viso: adesso però porto i baffi lunghi, che allora non portavo e, a dir vero, anche i capelli sono divenuti alquanto più radi. Lo sguardo, invece, l’espressione... tutto lo stesso. Il medico mi sorprese mentre ero intento a questo esame. — Mi dica un po’, Teodoro Feodorovic — gli domandai — rassomiglio io a questo paggio? Non le pare che non ci sia quasi nessuna differenza? — Eh ! una certa differenza c’è. Prima di tutto, il paggio non ha rughe... Codesto dottore mi renderà pazzo addirittura. Questa parola « rughe » io, naturalmente, la conosco da molto tempo e tante volte l’ho adoperata parlando; ma non mi sono mai reso esattamente conto del suo valore. — Dove sono queste rughe? — gridai, disperato. Il dottore m’indicò dove. — Ma che, sono rughe queste? Non sono che piegature accidentali delia pelle. — Mettiamo che sia così; ma quando era paggio, queste piegature accidentali della pelle, non le aveva, mentre adesso le ha. — Sono il risultato delle meditazioni, dei tenaci pensieri... — Già; dei tenaci pensieri; ma, specialmente dei molti anni passati. Via, non si agiti troppo; si calmi e mi lasci auscultare il suo giovine cuore. In casa della mia defunta madre, che era sempre malata, e da Maria Petrovna, che sta sempre benone, ma passa la 4