CI 3 commerciante* e gridò a tutta gola (chè nel rumore sperava potenza) i gl’interessi di Trieste minacciati, il suo commercio rovinato, la sua ricchezza perduta. Il popolo nel suo buon senso naturale comprese che una nazione la quale ha per tanto tempo pesate le catene, vuol romperne, non imporne; che poteva aver nome ed affetto di fratello, non grado di schiavo; che potea aver destini dai Veneti divisi, ma non meno splendidi; che infine gli restava il silenzio, che avea diritto e dovere di conservarlo, Ma gii esempj e gl'insegnamenti di Mettermeli diedero frutto, quel partito tolse la infima plebe, la feccia del volgo dalle bettole e dai lupanari, la comperò, l’accarezzò, 1’ubbriaco, poi la gettò come jene peila città, e, dove vedete, le dissero, coccarde che non sieno austriache, strappatele, insultate, percuotete, sarete impuniti e pagati; e quelle belve ubbriache e cieche, strapparon coccarde tricolori, italiane, francesi, alemanne. Allora quel partito si riposò gloriosamente dicendo : Ecco come la pensa il popolo di Trieste; e un popolo ottimo e nobile fu maledetto e vilipeso da tutti. D’allora in poi la Polizia ricominciò il suo regno tenebroso di cabale, di accuse, di spionaggio: alle spie pagate s’aggiunsero le paganti; ogni uomo di quello scarso partito tende l’orecchio, raccoglie le parole, commenta i discorsi, accusa i pensieri ; è spia, commissario, giudice, esecutore ad un tempo. E tutto ciò in un paese che si dice Costituzionale. Quella poca feccia, inerte sempre, ora disoccupata perchè il commercio di Trieste è perduto per l’ambizione, e pegl’interessi individuali di quei pochissimi, s’ubbriaca col loro danaro, e poi corre sulla pesta di chi le fu disegnato dai suoi padroni, aggiungendo ad oltraggi vilissimi, attentati alla vita, alla proprietà, a quanto v’ha di più sacro: e se si muove querela si chiedon le prove, e se si danno le prove, allora si risponde che non si ponno irritare le passioni del popolo, ed è il popolo che soffre, il popolo che si lamenta e domanda riparazione. E tutto ciò avviene in paese dove fu proclamata la grazia della libertà del pensiero. Ma quei pochi però sono i veri cittadini, gli onesti, i saggi, i lea• li .... e se non lo credete, domandatelo alla Polizia colle sue prigioni aperte ad ogni gemito, domandatelo ai cannoni di Castello appuntati sempre sulla città, che la minacciavano ad ogni grido. Alle suppliche ed ai reclami si risponde sempre ad un modo; o detestando a furia quella ciurmaglia venduta e rivenduta, o intimando l’esi-gìio entro 24 ore. E quando alcuno, tocco dai mali del suo paese, afflitto di udirlo gridato dovunque vile, schiavo e demente, ricorre alla stampa che si chiama libera, per giltare la colpa a chi và, non tutta la popolazione, ma la menoma parte di essa — gli si domanda il permesso della Polis ia — e la Polizia non permette con paure, ancora più vili, ancora Più grette e ridicole, che allor quando l’assolutismo regnava a viso scoperto e col vero suo nome : e se parlale di diritti, se alzate la voce, vi additano i cannoni di Castello. La Guardia Nazionale frattanto, ridotta a miserabili proporzioni, inetta a difendere non che altri sè stessa, paralizzala, annientata da quel Partito corruttore, spogliata ad uno ad uno de’suoi diritti, che cerca il tarlo e noi trova, và tutto dì scemando perchè si rimandano coccarde e