714 cini di qualsivoglia altra nazione, al centro della mistica unità, alla residenza monumentale del Vicario di Cristo, che compie generosamente l’opra inaugurata dal figlio di Dio sulla croce, simbolo un dì del più duro servaggio, e dopo quell’a Ito divino, della libertà la più gioconda e soave. Chi ostinasi a chiuder gli occhi alla luce ristoratrice ch’emanò fin dai primi secoli dell’era cristiana dalla eterna città, ed oggidì si diffonde colla rapidità del baleno su tutta la superficie del globo, merita di essere appellato figlio delle tenebre e nemico della giustizia e del vero. Non incorrono in questa taccia obbrobriosa i popoli d’Italia, che seppero profittare tantosto del cenno divino di Pio, e reclamare dai loro dominatori, a nome dell’oltraggiata umanità, i diritti vilipesi di natura e del civile consorzio. Porsero ascolto alle giuste, alle fervide inchieste de’loro sudditi i principi tutti d’Italia a quest’ora, e restituirono ai medesimi quel patrimonio di libertà nazionale, di cittadina indipendenza, che avevano scaltramente usurpato. Dall’Alpi al Li'ibeo risuonò la consolante parola dell’indipendenza d’Italia, e le bocche di tutti i veri Italiani con tenero e riconoscente affetto ripetevano: viva Pio IX, viva l’Italia una ed indi-pendente. All’unanime grido non poterono associarsi coi detti e cogli atti, bensì coi desiderj cocenti i popoli oppressi delia Lombardia e della Venezia, in cui l’oppressore ogni dì vieppiù si sforzava di spegnere il sacro fuoco di Vesta, il libero pensiero della italiana indipendenza. Ma fiamma compressa, più gagliarda, più vivida, inestinguibile divampa, ed avvolge infine ne’suoi vortici irresistibili il compressore protervo. Cosi fu infatti: il giorno 17 Marzo p. p. fu giorno di redenzione anche per i Veneti e per i Lombardi; sgangherati i cancelli del carcere dischiusero il sentiero delia gloria agl’inquisiti politici della tirannide Austriaca, e la piazza di S. Marco in Venezia fu per la prima volta rallegrata dal trionfo di due indomabili propugnatori del giusto e del vero, dai vindici coraggiosi dei diritti conculcati del popolo, Tommaseo e Manin. Il vessillo tricolore sventolò per la prima volta sugli storici stendardi delia piazza famosa, ed il grido sonoro di viva l’Italia indipendente ed una echeggiò in tal circostanza dal mare all’Alpi. Al giubilo fragoroso de’Veneziani rispose, quasi per prodigio, il sibilo minaccioso degl’impavidi Milanesi; il visconteo colubro dardeggiò lampi di morte, di vendetta inesorabile sull’Aquila ingorda, e cinque giorni di lotta più che umana fruttarono alla eroica Milano il più glorioso de’riscatti, la nazionale indipendenza, e il dì 22 Marzo salutava il compimento della italiana libertà sulle gughe eccelse del duomo milanese e sulle cupole dorate del risorto S. Marco in Venezia. Fu sogno giocondo di una notte fantastica o scena incantata di un mondo immaginario? No; fu bella, fu consolante realtà, ed il ruggito del veneto leone si sposò armonioso al fischio salvatore del milanese colubro. Ecco dunque Venezia e Milano libere ed indipendenti da sè e per sè; l’uccello grifagno volò sbigottito a tuffarsi in fondo al Danubio, donde non uscirà mai più, perchè prima di annegarsi avea già sulla sponda perdute le penne. Senza però deviare dal proposto argomento, torniamo a bomba. All’accortezza valorosa e risoluta dei Veneziani, all’invitta intrepidezza ed agli eroici sforzi de’Milanesi applaudì Italia con festoso tripudio, ed i primi a prorompere in applausi sinceri, perchè alla Lom-