554 ticamere, si è mendicato da due o tre ciondoli de’quali ieri andava aristocraticamente superbo chi oggi con ridicola sinderesi vorrebbe comparire democraticamente repubblicano? Qual bisogno di diffamare uno scrittore ambizioso, ed avido di denari, di litoli e di lodi, e che per mercarsi questi o quelli non vi ha bassezza ch’egli rifugga? A chi non son noie le lettere al barbiere Moroni, e la dedica all’imperator d3Austria? « Tu » conosci, dice il Cantù, quel Menini scribacchiante, che da 20 anni con->» tinuò a bersagliarmi, poi a farmi bersagliare. Ma è bene rivelare che » gli si trovò la commissione della polizia per ciò; e divisati i modi e » il carteggio con altri del suo calibro nel paese mio e nel tuo, sicofanti » in maschera da liberali. » Queste parole colle quali il Cantù con gesuitica birbanteria, tenta di gettare un’infame nota su persone di cui egli non vale le loro più lacere pantoffole, le scriveva con quella ¡stessa mano colla quale firmava le ricevute della pensione austriaca, le scriveva colla stessa mano colla quale scriveva una dedica all’imperator d’Austria, le scriveva colla stessa mano che l’imperator d’Austria aveva ornalo di un anello, e le scriveva coll’i-stessa mano colla quale il Cantù scriveva al Menini (veramente assai cattivo mobile) lettere supplichevoli colle quali lo pregava a lodarlo, che il Pomba lo avrebbe pagato. Or dunque liguriamoci se un Cesare Cantù, ieri cavaliere di più ordini, oggi repubblicano, e che sa così bene diffamarsi da se stesso, aveva bisogno di essere diffamato da altri I Ora ei vorrebbe alzarsi nella pubblica opinione, ma la via ch’ei tiene non è quella per la quale ei possa riuscire; anzi è quella che lo condurrà all’ultimo precipizio. La ciarlataneria che pel passato giovò tanto al Cantù, ora non è più di moda; è passato anche il vezzo delle gvisuitiche affettazioni; le calunniose insinuazioni gli attirano maggior odio, le spaccate menzogne lo fanno spregevole, e il lodarsi continuo, l’imbrodolarsi, il vanagloriarsi da se stesso, lo fanno ridicolo. Roso d’invidia per la popolarità di cui godono Gioberti e Massimo d’Azeglio, ei vorrebbe che tutta l’Italia parlasse di lui come parla di loro, che tutta l’Italia s’interessasse di lui come s’interessa di loro; nè si accorge della differenza. Gioberti e d’Azeglio spendono i loro studii pel bene dell’Italia, e Cantù vorrebbe che l’Italia spendesse i suoi studii pel bene di lui; e la vostra colpa, o Torinesi, è di non aver ben capito questa verità. Ma consolatevi almeno che non siete i soli nè i primi. Tre anni sono parlò male dei Milanesi, adesso parla male di voi: ma come fu costretto a ritrattarsi pubblicamente sul conto dei primi, così al presente si ritratta sul conto di voi; e fa come colui che si diverte a dare degli schiaffi e poi dice : scusatemi. La volpe cangia il pelo ma non il vizio, e il gesuita cangia l’abito ma non i costumi. A. BIANCHI-GIOYINI.