584 degli interessi. Ai governi infiliti, come agli studiosi in economia degli stati, s’applica la sentenza di Bentham, che in questa scienza c’è molto da imparare e poco da fare. — L’industria agricola-si risentirà anch’essa quest’anno dell’arenamento generale. Per la presenza nelle provincie di tante orde, fameliche, che si doveano satollare a spese delle vittime, per le jdevastazioni onde sollazzavansi e sollazzano ancora i barbari, per le braccia sottratte al lavoro dei campi e dedicate alla difesa della patria, he fia più scarsa la produzione, che non potrà essere certamente contrabbilanciata dall’alleviamento di pubbliche gravezze, con cui il governo ar-gomentossi di venire in sussidio alle classi indigenti. Ecco una minorazione di ricchezza nella sua fonte primaria, primaria almeno per noi Italiani. Nella massa degl’interessi, tutte le classi sono solidalmente legate: la scossa da un estremo propagasi ali’ altro, e come i più deboli sono meno premuniti, ivi è più sentita e fatale. Quando l’ordine economico è in uno stato normale, cioè quando il governo, ove gli arridano giorni tranquilli, promuove la libertà e l’educazione, havvi produzione di ricchezze; e ognuno può col lavoro proprio bastare a’ bisogni proprii e della famiglia. Ma sturbato coni’è adesso, l’equilibrio, fa uopo che. la beneficenza privata si colleglli colla pubblica a ristoro della miseria. Ricchi, allargate la mano, non tanto a limosine che avviliscono, quanfo a soccorsi che rialzano l’umana dignità. A libero governo occorrono liberi cittadini e indipendenti, che, cioè, sappiano provvedere a sè coi mezzi proprii. Prooicciate adunque lavori; l’operaio sarà lieto davvero, se potrà dire alla fine della giornata: il pane, che nutrì me e i miei, è prezzo del mio sudore. La parola è rivolta ai potenti. In Lombardia, i ricchi noi furono soltanto di nome. Colla mano e coll’ingegno prcstaro'nsi a scuotere il giogo dello straniero; poi la mano, che avea trattalo la spada, s’aprì ad alleviare i patimenti del povero, mentre l'ingegno si adopera al riordinamento della pubblica cosa.'Non ¡sdegniamo gli esempi dei nostri fratelli, tanto più solenni che improntati dal suggello di sventure comuni. Basta a taluni mostrare la via, perchè vi si mettano; or bene! la via è aperta, alla beneficenza non meno, che ai consigli di sapiènza nel patrio reggimento. Fu chi dubitò, non forse l’alto ceto fosse per venire escluso dalla pubblica cosa. Si credette titolo di esclusione un nome, a cui si collega, una memoria di celebrità. Chi pensò di tal modo, fece insililo all’età in cui viviamo, alla cultura ed all’ altezza di chi seppe risorgere a vita novella. Lasciamo al despotismo questo retaggio d’infamie, mastro com’era in ridicole distinzioni di casta. Si credeva pagare la prostrazione d’ un’ a- • nima immortale, ove a uri n'alo di nobile stirpe si accordasse l’alto privilegio di starsene oziando, dorato sèrv¡dorarne nelle aule dell’ignava regalità. Ma un governo, in cui si professano libertà ed uguaglianza, mentirebbe la sua natura con siffatti ostracismi. La condotta sua non sarà inconseguente: se per odio ad aristocrazia,'postergasse i figli della vecchia aristocrazia, ne creerebbe una nuova nel seno della democrazia. Lo stato nello stato ,è chimera in una repubblica; laddove essa proclama facoltà a tutti eguale di concorrere alle elezioni, di occupare ogni carica, di sedere nelle assemblee nazionali; in una parola, fruizione a ciascuno