G04 Al Aprile. {dalla Gazzetta) Venlidue ufficiali Italiani d’ogni arma c grado, addetti alla Marina di guerra, che si trovavano in Pola, impotenti a scuotere l’odiato servaggio, spezzarono finalmente quelle catene, che pesavano tanto sul loro animo, e baciarono questa terra natale la sera del i3 corrente, innalzando anch’essi il grido di gioia, di quella gioia che dovettero tenere rinchiusa sino ad ora nel più intimo del cuore. Coni’è dolce respirare la prima aura di libertà, dopo tant’anni d’oppressione, di quella santa libertà che fortifica l’uomo, e lo rimette in possesso di que’diritti, che Iddio gli ha accordati nel crearlo, e che la mano dell’assolutismo sì ostinatamente sino ad ora gli ha contrastato! All’Austria non sono rimasti che pochi bastimenti, ma spogli d’equipaggi, d’ufficiali, di guida; perchè ora quelli non formano che uno scheletro informe di Marina: anzi sapendo bene che senza gl’italiani, dai quali tutti i rimasti Tedeschi hanno avuto scuola e norma, sono inetti ad intraprendere qualunque cosa, i bastimenti furono convertiti in tanti corpi di guardia ambulanti pel porto, presidiati da truppe terrestri. Sciaguratamente, il richiamo della divisione a Venezia, fatto per ordine del Governo provvisorio, fu penetrato dal Comando militare di Trieste, il quale, dando tosto e secretamente le disposizioni più energiche, ci tolse il mezzo di poter secondare i sentimenti del nostro cuore, rendendoci impossibile l’uscire dal porto, ancor prima che sapessimo la libertà della patria; e benché Iddio abbia protetta con segni sì evidenti la liberazione dell’Italia, pure sembra che non abbia voluto permetterci la partenza da Pola, nella notte del 27 marzo, Tunica nella quale pote-vasi ancora tentare un colpo disperalo : giacché -soffiò un forle vento da libeccio^ contrario affatto alla nostra fuga da un porto stretto, difficile, attorniato da forti batterie, sotto ed in vicinanza alle quali de ve si passare e ripassare prima di uscirne. Rispettiamo il volere del Cielo,- e viviamo nella speranza, che Quegli, che ha accordato ad ogni nostra impresa italiana l’impronta del maravi-giioso, vorrà riservare anche per noi un qualche fatto di gloria, per compensare la patria di un’impresa senza nostra colpa fallita. Sarebbe inutile il voler narrare quanto abbiamo sofferto in questi ultimi giorni di permanenza in Pola, in cui eravamo riguardati col livore, con l’odio più accanito, ed assediati da mille persecuzioni, per tentare la nostra perseverante pazienza, e così poterci perdere, rinchiudendoci nel castello; di modo che, per giunger più presto che fosse possibile alla cara patria, partimmo tutti con un piccolo trabaccolo in mezzo all’ uragano, esponendoci all’impeto della tempesta nella sera del 12 corrente, ma contenti, avendo in cuore la certezza d’esser liberi, e la speranza di rivedere la cara terra dei nostri padri, volonterosi di sacrificar tutto per cooperare alla sua maggiore grandezza, ora che i nostri bravi compatto Iti le hanno conquistata la libertà, GLI UFFICIALI RITORNATI DATOLA.