515 senno, con moderazione, con dignità cittadina, con aperto disinteresse le opinioni un po’ forse avventate di qualche scrittore, ma nocive non già, in nessun caso, ad una libera Repubblica, nè degne tampoco di un bai-baro Aulo da fé, accompagnato da furiose minacce, da villani sarcasmi, da imprudenti tripudii. Le battaglie ad arme pari saranno sempre plausibili, ma le lotte ad armi dispari saranno sempre riprovevoli c micidiali agl’ individui, alle società. Nelle contese per la libera parola, per la libera stampa, non rinnovisi per pietà tra di noi la ferina vigliaccheria di quegli esecratissimi soldati austriaci, che appiattati dietro alle colonne della magica, ma talvolta pur troppo profanata, ed allor contristata nostra piazza, sparavano i loro lucili, carchi a doppia palla, contro inermi fanciulli, contro giovani ardenti di patrio entusiasmo, ma privi di arma qualsiasi. Atto di così vandalica ferocia rinnova quel demagogo che ad un libero ed isolalo scrittore perentoriamente intima di rinunziare al primo, al precipuo dei diritti in una libera società, alla libertà sacra, inviolabile della parola, e la perentoria intimazione corrobora colla scorta di cento e mille, risoluti all’ estremo dell’ insolenza, il giornale quindi pubblicamente ne abbrucia, e spumante di gioia crudele morte grida, fuoco al giornale, all’ editore, al giornalista. Ed è di tal maniera che sosterremo noi le dispute repubblicane, soffocando colla violenza morale e fisica la libera parola, la libera stampa ; ci educheremo noi di tal guisa alla vita fruttifera, alla esistenza dignitosa di popolo libero, di popolo repubblicano? Istillando nell’animo dei buoni e gentili cittadini di Venezia i principii dell’ anarchia e del disordine, della violazione del più sacro dei diritti, della libertà individuale, giungeremo noi ad assiderci presto, senza spasimi convulsi, al sospirato banchetto dei popoli adulti nella civiltà, dei popoli degni dei vivere libero, dei popoli che nei pensieri, nelle parole e negli atti accarezzano, professano ed adempiono i doveri imposti a ciascuno di noi dal molto stupendo della gloriosa nostra Repubblica : libertà, eguaglianza, fraternità? Lo indovini chi legge, che io per me di tutto cuore desidero non abbiano ad avverarsi fra breve i funesti presagi de’nostri più accaniti nemici, e non venga sancito dai fatti il vituperevole anatema di chi per tanti anni orgoglioso, inesorabile ci malmenò, ci calpestò, ci derise, appellandoci un mero nome e non più. Sperda il cielo l’insulto beffardo dell’ empio, che sotto mentilo nome va oggidì errando di contrada in contrada, maledetto, esecralo dal grido unanime della umanità riscossa dal suo lungo letargo, dai popoli redenti dal duro servaggio alla soave libertà del pensiero, della parola, dell’ a-zione eroica, immortale. La benedizione di PIO tenga sempre da noi lontane le già sofferte sciagure, e nell’arduo sentiero ci rinfranchi della vita repubblicana, nella convivenza sociale ci rincori di cittadini aventi uguali diritti ed uguali doveri, e gareggianti tra di loro nelle prove efficaci di fratellevole amore, di stima e fiducia reciproca, di libertà generosa che riedifichi, rassodi e rabbellisca questa incantevole Venezia, epiesto Palladio prodigioso dell’ italiana indipendenza, sottratto un dì alle zanne spietate