723 Ogni Italiano dell’ ex-regno Lombardo-Veneto deve restare commosso alla lettura di questo toccante indirizzo. È la clemenza e magnanimità di Ferdinando che ci parla, e le prove di queste imperiali virtù vi stanno sott’ occhio : che cosa sono le crudeltà di Radetzky a Milano, che cosa sono le devastazioni del Friuli se non argomenti di persuasione, dichiarazioni di affetto ? Nessuno ebbe mai ragione di dubitare delle rette intensioni e della giustizia del NOSTRO RE. Della lealtà di chi parla abbiamo una caparra assicurante nel modo ingenuo con cui egli ci racconta la nostra storia. I nostri diritti, i nostri bisogni, i nostri desiderii non si seppero a Vienna se non verso la fine dell’ anno passato, quando le Congregazioni centrali di pecorile memoria formularono alcune domande. Queste domande non furono respinte; non si fecero che alcuni arresti dei principali autori di quelle domande, ma alla fine non si ebbe il tempo di far impiccare nessuno ; fu promulgato soltanto il giudizio statario come seguo che la sovrana clemenza si metteva subito a deliberare. Un dono generoso ci venne fatto, è verissimo: e fu la rivoluzione di Vienna; dono di cui saremo sempre grati al popolo viennese, perchè, considerala la nostra lontananza, si è preso così in buon punto la libertà di fare questo bello scherzo alla barba (se ne ha mai avuta) del nostro amato Sovrano (ex). Dell’entusiasmo delle altre popolazioni che sono sotto lo scettro di S. M. noi siamo convintissimi; ce ne parlano ogni giorno le nostre corrispondenze e i giornali della stessa capitale. Noi vediamo bene in quali danni ci esponiamo, e quante grandi perdite facciamo, perdendo l’egida dell’imperatore Ferdinando; quanti luminari di scienza ci abbandonano, quali vacui soffriranno le nostre amministrazioni; ma ci conforta il pensiero che così l’Austria riboccherà di ingegni profondi, e di polenti intellelli. Molte cose, in vero, ci vengono promesse dal conte di Hartig; peccato che 55 anni, cioè un’intera generazione, siano là per attestare come lo eguali promesse del conte di Bellegarde siano state mantenute. I vantaggi politici, nazionali ed intellettuali ci sarebbero concessi ampiamente, che non sapressimo dove arrestarci: troviamo quindi più comodo e più sicuro di determinarli da per noi stessi. — La lingua, l’indole, la nazionalità, la libertà, queste cose noi tutte le abbiamo, son cose nostre: ringraziamo perciò inlinitamente Sua Maestà, che ci fa guerra apposta per donarcele, quasi che fossero sue e noi non le volessimo. Egli è forse convinto che ce le aveva rubate; ma si ponga pure in tranquillità, che noi ce le abbiamo riprese. Se poi il dolore della Maestà Sua si riferisce alla privazione di quella corona che egli si fece metter in lesla, or sono nove anni; su questo potremo anche accomodarci: gliela manderemo a Vienna a buon mercato; egli avrà un giocherello di più per i suoi innocenti trastulli; a noi costerà poco il privarci di un arnese affatto inutile per le nostre istituzioni novello ed al tempo stesso di un monumento di troppo grandi e troppo 'mighe nazionali sventure. G. B. Varè.