408 che il giorno poi io falciava, chiamò il chirurgo primario al suo lelto (io era quel desso) e gli raccontava com’egli si trovasse a quello »tremo per causa del presidente Manin, perchè si era fatto militare per i consigli di lui; ma non è per questo, soggiunge, ch’io rimproveri del mio fato Daniele Manin; no, no: Viva Manin! Viva l’Italia!; e tutti gli altri a lui compagni di quei dolori, rispondevano in eoro : Viva Manin ! Viva l’Italia! Oh benedetta Italia! tu non sei destinata a perire finché un popolo come quel di Venezia ti serve, entusiastato ch’ei sia da quell’uomo che è pur tuttavia l’uomo del popolo; da quell’uomo che, a confusion di coloro i quali vorrebbero crederlo in collisione con noi, congiugnerà invece ai nostri tutti i suoi sforzi per mettere a compimento le parole proferite a questa tribuna da lui: resistere ad ogni costo. Si, Dio provvegga al destino, come dicea Nicolò Tommaseo, ma noi provvediamo all’onore; mostriamo noi che, quando abbiamo accettato di sedere su queste sedie curuli, credevamo di non essere più di noi stessi, non più delle nostre famiglie, ma unicamente all’onor della patria sacrificati. Infamia achi, con un pretesto o con l’altro, ciocché sicuramente non fia, tentasse di abbandonare in questi estremi il suo posto! Al nostro posto noi dobbiamo se sia mestieri perire, non indegni dei nostri fratelli di Roma, i quali, non degeneri dagli antichi Quiriti, sforzarono a rispettarli il medesimo vincitore, che certo non ha dirette le armi alla vera gloria di Francia, che però voi vedrete una volta riparare il mal fatto. Aìlora non ci inaraviglieremo noi più come i superstiti, che sono ben sette, dal fatto che vi accennava, non altra cosa desiderino che di guarire per tornare al travaglio delle polveriere, le quali, sia caso, sia malizia, due volte in un mese incendiate, non le fanno per questo di travagliatori deserte. Allora non ci inaraviglieremo noi più di vedere solleciti i Napoletani assicurarci in questi giorni della loro costanza, quando gli scellerati austriacanti, che la Dio mercè son essi un pugno, 11011 noi, si attentano di seminare per ogni verso calunnie a disonore di tutti, smaniosi, ch’il crederebbe? del sacrificio della lor patria o del trionfo di una causa già maledetta da Dio e dagli uomiui, la causa del despotismo, che innalza, è vero, lo spavcntevol suo capo, ma lo innalza infermato e moribondo. Onore a voi, o prodi Napoletani ! Onore al vostro capo illustre, cKè ormai il veterano guerriero della italica libertà, e al quale noi, cittadini rappresentanti, dobbiamo farci solleciti a dichiarare solennemente aver lui ben meritalo della patria nostra. Onore a voi quanti siete di tutte le contrade d’Italia e quanti formate questo esercito maravi-glioso; il quale, se si considera composto di gioventù bollente, intollerante di noia, se si considera esposto mai sempre agli effluvii d’una avvelenata atmosfera, se si considera che mai per patimenti si ammulina, che mai al combattere si rifiutò, ma che dura intrepido e volonteroso, ogni dì porgendo novelle prove di coraggio e di valentia, non si tarderà a proclamarlo un esercito degno di porger la mano (forse non è lontano il momento, e tu, Iddio ! ci aiuterai per tanto) ai grandi eserciti dei Ma-