28 Da ciò si rileva agevolmente che, tra il sistema di amministrazione ch’era in vigore in queste provincie avanti il marzo 1848, e quello ora immaginalo, non havvi alcuna sostanziai differenza, salva la istituzione della Dieta e l’annuale sua convocazione. Ma questa istituzione del Senato e della Camera dei deputali, così coni5 è foggiata nel progetto di Statuto, non potrebb’essere ai regno di alcun notevole giovamento, e sarebbe più un’ istituzione di nome che di fatto. Imperocché, tolti gli affari, la cui trattazione spetta ai comuni ed alle provincie, o sui quali sarebbe chiamata a deliberare la Consulta di stato; tolti quelli importantissimi, e veramente vitali, riservati al Parlamento imperiale ed al Ministero centrale, di nieut’ altro potrebbe trattare la Dieta del regno, se non se di qualche legge particolare, applicabile alle sole nostre provincie, e per la quale sarebbe poi sempre necessario il concorso e la sanzione del potere esecutivo centrale. Con siffatti ordinamenti politici, le nostre finanze non sarebbero amministrate nell’interesse del regno, concorrendo noi con una quota equa e proporzionale nelle spese generali della Monarchia; ma sarebbe invece mantenuta quella per noi gravosissima ripartizione delle imposte, che ha durato per 33 anni fino all'epoca gloriosa del marzo 1848. Le tariffe doganali, le convenzioni commerciali cogli esteri Stati, sarebbero stabilite, non con riguardo speciale per le provincie italiane, ma secondo i bisogni e le convenienze economiche degli altri Stali della Monarchia. Nessun rispetto si avrebbe per la nazionalità italiana, quando gl’ impieghi del regno si conferissero indistintamente ad ogni cittadino della monarchia, e gl’italiani^ con ingiusto ed inaccettabile compenso, fossero chiamati a pubbliche funzioni nelle altre parti dell’impero. Al quale proposito della nazionalità giova avvertire, che, secondo lo Statuto, vi sarebbe, olire la cittadinanza generale dell’impero, una cittadinanza speciale del regno, indispensabile per chi dev’essere elettore od assumere ufficii nei Consigli provinciali, nella Consulta di stato e nella Dieta, ma non necessaria per chi fosse chiamato dal potere esecutivo ai pubblici impieghi. E questa cittadinanza del regno, ed il diritto di prender parte negli affari del comune, per le complicatissime disposizioni contenute nel progetto di legge comunale, potrebbero agevolmente essere acquisiti dai cittadini delle altre parli dell’impero; ma con assai maggiore difficoltà ed in più lungo tempo dai cittadini degli esteri Stati; e particolarmente dai veri concittadini nostri, gli abitanti delle altre parti d’Italia. Infine, nessuna parte della flotta, nessuna parte dell’esercito, sarebbe costituita di soli Italiani, e risederebbe stabilmente nel regno; con che forse è recata la più viva ed umiliante offesa al sentimento ed all’onor nazionale. Per tutte queste considerazioni, attenendoci alle istruzioni avute dal Governo ed alle deliberazioni dell’Assemblea, noi abbiamo trovato che non era possibile continuare le trattative. Abbiamo esposto al ministro imperiale i principali molivi, pei quali il suo progetto di Statuto era da noi reputato non idoneo per le provincie italiane, e conseguentemente inaccettabile. Gli abbiamo dimostrato in ogni miglior guisa, come esso non coi risponda certamente ai bisogni morali del tempo e del paese, come