397 provincia sarda, sua unica gioia e speranza, suo vanto. E così, per gettarci nella disperazione, si volle sprecare anche questo tesoro; fra le baionette austrìache e il nostro petto non lasciare vcrun baluardo; onde puossi ben dire, benché sia orribile a dirsi, che l’esercito italiano fu da mani italiane distrutto. Ma perchè non sembrava abbastanza chiaro quali fosser le destre operatrici dell’immensa sventura, ridotto al di qua del Ticino l’esercito, affranto veramente da questa comandala fuga, odiator de’suoi capi, perchè autori d’ogui male, sfiduciato della vittoria, supplicarsi dal Tedesco una tregua di sei settimane; e la si comperava, vendendo quel che i soldati aveau conquistato, come Peschiera, quel che non avean mai veduto, come Osoppo, i passi del Tonale e dello Stelvio, la Rocca d’Anfo, quel che, in nome della indipendenza, erasi abbandonato nelle nostre braccia, come Piacenza, Modena e Parma. Secondo fu di Milano, la legge d’unione non parve strappala a Venezia che per disarmare il popolo, dileguarne l’entusiasmo, rapirgli la volontà; e si prendeva possesso di Venezia il selle per consegnarla il dì nove ai Tedeschi: i quali già sono a Parma, ricondussero nel suo seggio il duca di Modena, minacciano, ma indarno, Bologna, intimano ai Toscani di non essere uomini per non essere combattuti, e accennano Roma, invocati certo dal Boritone, che sarà l’ultimo, imperocché vive la giustizia di Dio. I nemici occupano le antiche lor terre coll’insolenza della vittoria, padroneggiano tulle le altre; in ogni luogo rialzarsi il birro invilito e medita sorridendo le vecchie prove. Questi sono i primi frutti dell’armistizio, non approvato dalle Camere, non sottoscritto dai ministri, che tuttavia non potrebbero cedere la menoma parte di territorio senza l’assenso del Parlamento; atlo quindi pienamente incostituzionale, nullo. E se anche lo fosse, che importa? Dobbiamo forse stendere il collo e lasciarci ferire? Gli Austriaci non battono forse, o non balleranno fra poco, alle porte d’Alessandria? E Genova è forse sicura? Ma il popolo di Genova si sente ancor quello del 1746; giacché dovrebbe nascondere quella gloriosa bandiera, riconoscendo tregue coll’inimico, nella forma illegali, funestissime nelle lor conseguenze. Fra la -vita e la morte, fra Italia ed Austria, non vi ponilo esser tregue così obbrobriose pel popolo nostro, Ei non vuole perire come agnello, ma vivere come lione. E questa è la divisa dell’intiera nazione, i governi lo sappiano, di venticinque milioni d’uomini, che anelano stringersi in una sola famiglia, credenti ad un sol patto, nostra religione. Che se i Gesuiti, gettata via la sottana, assunsero l’uniforme di generali, per vendere colla patria il sangue dei soldati, figliuoli o fratelli nostri, non può, non dee la nazione lasciarsi lordare dalle infamie d’ima congrega, che dalia reggia, ove sla consigliera, giunge sino all’orecchie del povero, che prega Iddio. I martiri di Goito, di Curtatone, di Somma-Campagna, di Volta, non ponilo esser morti per una menzogna. E noi dichiariamo questi sensi perchè non siamo vili e nemici di noi stessi, perchè siamo degni dei nostri riconosciuti diritti, de’ nostri padri, del nome italiano, della grandezza avvenire e della libertà — Senza cui tutto è nulla, e Iddio si ritira da un popolo.