147 Italia. E perchè tutti siamo figli di questa diletta e veneranda Italia, foste accolti come fratelli con riconoscente amore, con festiva esultanza. In questo affratellamento il barbaro vede la nostra forza e la sua certa rovina, ond’ è che con arti diaboliche tenta di seminare discordie tra voi e gli abitanti. E non sono forse gli astuti e tenebrosi raggiri degli Austriaci quelli che hanno suscitato le ultime risse tra Pontiftcii e borghesi, che, surte senza cagione, son divenute funeste sino al segno da produrre disgraziatissime conseguenze ! SOLDATI e MILITI, ricordatevi che la concordia e 1’ unione in presenza de’pericoli che ancora ci minacciano, sono il più sacro de’doveri, la condizione prima ed indispensabile della buona riuscita di quella santa causa della indipendenza d'Italia, alla quale fa maggior danno qualunque discordia fraterna, che una sconfitta in sul campo. Il Tenente Generale comandante in capo GUGLIELMO PEPE. 28 Luglio. (dalla Gazzella) MORSO lllil CITTÌ III TEEKISO ED AL PRESIDENTE OLIVI. Se lo sdegno santissimo dei fratelli lombardi contro la prostituzione del primo magistrato municipale di Treviso pel suo indirizzo al maresciallo Welden, non riscosse ancora un egual senso di pubblica indegna-zione da nessuno dei fratelli emigrati, ciò avvenne per quella specie di stupidezza che suole comprendere 1’ anima all’ annunzio di un fatto inatteso e funesto. Dico inatteso e funesto, poiché il nome di Olivi fu il nome di un gran cittadino per vita incorrotta, per egregii studii, per amore caldissimo a libertà; fu il nome di un gran cittadino che, per l’affetto di pt-tria, quando lo squilibrio dei privati suoi censi esigeva tutta quanta la di lui opera, si scordò perfino di avere figlie di avere consorte; che nei tic mesi della nostra rivoluzione parlò e scrisse grandi sensi di verità, di libertà e di concordia; che nella nostra intrepida difesa dei giorni 13 e 14 maggio, mentre il nerbo delle truppe ci abbandonava, lui solo parve bastare per tutti; che intimato a capitolare dava al nemico quella giusta ed ammirata risposta: noi abbiamo capitolato ima volta; che, sotto >1 salutare terrore di ben ore di bombe, serbò sempre il suo franco e dignitoso carattere; che finalmente, poco prima di fuggire l’imminente nemico, udito il popolo a lamentarsi che nel maggior dei dolori sarebbe stato privo di padre, seppe tanto valere sopra sè stesso da pensare a restarvi onde dividere e mitigare in qualunque modo il potesse la desolazione e il lutto della infelice sua patria. Ma il nome d’ Olivi or non manda più quel suono intemerato di pri-1113; l’Italia gli appose una taccia, di cui lo libererà un giorno forse la storia; però, indipendentemente dalla condotta di quel cittadino, noi non dobbiamo tralasciare di difendere quel la della nostra eroica ciltà.