410 gemmo confermata da note officiali la rivoluzione del Lombardo-Veneto, la cacciata degli Austriaci, la istituzione dei governi provvisorii: uniti ai dispacci ricevemmo il 22 marzo di Milano, e la gazzetta della Repubblica Veneta col risorto san Marco. I Tedeschi di Alessandria dimentichi del loro tumultuare gioioso se ne restarono allora muti, sconsolati, mentre per noi il riso ed il pianto furono quella muta espressione, quel solo sfogo al quale anime oppresse possono rispondere ad inaspettata ventura, e poi ripetemmo a coro fratelli, unione, Dio, Pio, Italia, Milano e san Marco, e poi indirizzi e banchetti, ed infine con atto solenne votammo l’immediata emancipazione dalla Austriaca potestà. Dato fine a questi primi impeti, ci ponemmo a leggere religiosamente quelle pagine che riferiscono i fatti gloriosi delle barricate di Milano, e dei trattati della Venezia, e segnano con caratteri non perituri i nomi degli arditi promotori della famosa tenzone, e primi nostri governanti. E quanto non aliammo superbi la fronte di appartenere a quella famiglia di popolo italiano primo assoluto indipendente? Oh! Italia, dicemmo, tutto il tuo passato di onta si è lavato con quel sangue: la Sicilia, la Lombardia, la Venezia narreranno innanzi ai posteri quanto ci fu di più grande, di più •eroico, di più patriottico nell’Italia del 4848. E tu, o Popolo della Venezia, hai fatto battere più forte il nostro cuore, tu che col tuo primo grido, col tuo primo eletto a governarti, hai data sublime prova di avere conservato vergine, pura la tradizione delle glorie, delle ricchezze, delle passate felicità d'Italia. Il giogo del tiranno aveva per lunghi anni si pesato sul tuo capo che ne erano paralizzate le braccia: la prepotenza aveva imposto silenzio alle tue bocche, ma nel tuo cuore restò immacolato il concetto: e fu pur animo forte e risoluto, giacche i destini d’Italia solo allora saranno compiti, quando tutti ad una voce faranno eco al tuo predicato. Eccovi le scene, eccovi una somma di parole che in quel di si proferirono da tutti noi nell’entusiasmo del sapere la patria libera ed una. Ma da quel di quanti avvenimenti! Ov’è quel campo che tutti raccoglieva i fratelli italiani armati in un solo convegno, non attratti da vili passioni, ma dalla sublimità del sentire, per solo principio di carità del fratello, per solo voto d’unità italiana del popolo? Ov’è quel convegno spontaneo, esempio primo, modello perfetto del vero progresso di civiltà in questa terra d’Italia, nella quale i fratelli, poche ore prima di raccorvisi non si dicevano italiani, ma piemontesi, toscani, romani, lombardi, ed erano educati ad odiarsi anziché stringersi le destre fraterne? Oh ! sì, se le vittorie ci furono strappate, se un tradimento ha minato alla nostra unione, alla nostra futura indipendenza e nazionalità, il tradimento e le disfatte non hanno distrutto il legame dei nostri cuori, 11011 hanno potuto rompere i patti di indissolubile fratellanza, non hanno potuto sciogliere il solenne giuramento » per sempre italiani, indipen-» denti ed imiti « giuramento proferito sulle croci benedette da Pio, e colle destre armate di affilatissime spade. Ed oggi cosa diranno i nostri confratelli là oltre mare, quando leggeranno, come sì gran parte di fatti si sia così vilmente, infamemente compita? — Come la morte di tanti nostri valorosi non abbia bastato a