264 riposano le supreme nostre speranze? Mentre altri stati d'Italia si mosti fino molli o ritrosi nella sania opera, e 11011 pochi de’lor volontari! ritraggono indietro il piede nel punto più formidabile del cimento; mentre un principe italiano tradisce ignominiosamente la patria o con secrete pratiche, più infami delle palesi, se la intende coll'inimico, Torino sola sostiene il pondo della guerra; Torino sola ingrossa le schiere dell’esercito; Torino sola¡, si può dire, lo capitaneggia nella persona del re salvatore; ¡I quale, mirabile nelle vittorie, più mirabile ancora nelle sventure^ porge a tutti esempio di coraggio invitto, di fiducia indomabile e di magnanima sofferenza. E quando parlo di Torino, intendo parlare di tutto il Piemonte; unanime colla metropoli d’idee, di affetti, di vigore, e seco indiviso nel merito delle perdite e nel fervore delle speranze. « Perciò^ quantunque men soggetto di altri alle affezioni e ambizioni municipali, io ti ammiro, eroica Torino^ e mi glorio di essere uno de’tuoi figli. E se caro sopra ogni cosa mi è l’essere Italiano, godo particolarmente che quest’onore da te mi venga. Or v’ha chi oggi rorria distruggere la fama di una tanta città, od oscurarne lo splendore? E va ripetendo doversi anteporre alla guerra una pace onorata, come se tal bestemmia fosse il voto dei Torinesi? Guardatevi, miei concittadini, che la tristizia o la demenza di pochi non pregiudichi al nome dell’universale. Vi sono tra voi pur troppo (e qual paese ne va esente?) dei retrogradi e degli abbietti, che tentano di rivolgere contro il comun bene i privati interessi e gl’istinti municipali. Soffocate l’indegna setta; mantenete illibata la vostra (ama; chiudete l’orecchio all’iniqua proposta, che, quando si potesse crédere consentita da molti, basterebbe a distruggere i vostri meriti colla patria e a sperdere senza rimedio la vostra riputazione. « Oh! dirà taluno, non è dunque partito ragionevole l’anteporre una pace onorata alla guerra? Si certo, purché non si scambino i termini; che ogni guerra è una gravissima calamità e 11011 è legittima se non viene indirizzata a onesta e dignitosa pace. Ma la pace, di cui parlano i faziosi, non è tale; giacché nelle condizioni presenti non può darsi pace onorevole col Tedesco, se prima non ¡sgombra affatto dalle terre italiche. Ogni altra pace sarebbe vile, abbominevole, infame. Ogni altra pace sarebbe un tradimento verso le buone e generose popolazioni, che ci abbracciarono e a cui stendemmo amica la mano. Si potrebbe dar cosa più iniqua che l’abbandonarle alla vendetta dello straniero? La necessità di concentrare le forze per vincere, ci costringe pur troppo a lasciare che molti luoghi siano solo difesi dai proprii abitanti; al qual effetto il Governo provvide coll’ordinare una leva in massa, che basterà all’uopo se •dia sollecitudine di chi regge risponderanno ( e io non ne dubito ) il buon 'olere e lo zelo delle popolazioni. Ma il troncare invece i nodi morali, Politici, nazionali, che ad esse ci legano, lo schiuderle dal grembo nostro c°n un patto che loro accollasse il giogo del barbaro, sarebbe perfidia, sarebbe scelleratezza. Che si penserebbe di noi nell’altra Italia? Che si direbbe in Europa? L’onore che acquistammo si muterebbe in vituperio; e il Piemonte incontrerebbe a buon diritto l’esecrazione dei presenti e degli avvenire. « Nè giova il dire che con buoni capitoli si potrebbe procacciare ai