.381 ma, nè di assalire Piacenza da una parte, nè di rivolgersi coulro Peschiera e Brescia dall’altra, nè di sforzare i passi del Tonale, del Caffaro e dello Stelvio. Tutti i suoi conati si rivolsero contro il centro del nostro esercito, e contro Milano, bene avvisando che, caduta questa città, era vinta la guerra. Se non siamo inale informati, sono ordinate in Milano 28,000 razioni per ogni giorno, il che significa non esservi più di 25,000 uomini. Tenendo ancora per noi Venezia, Osoppo, Rocca d’Anfo e Piacenza, queste varie fortezze gli occupavano non meno di 25,000 uomini. L’aggressione nelle legazioni e l’occupazione di Parma, Reggio e Modena, ne domandavano altri 15,000. Le regole della prudenza, ed in un paese soggiogato colla forza e ribollente d’ira e di lèroci passioni, consigliavano di tenere da per tutto forti presidii, onde non incorrere le sorti di marzo. Ora domandiamo noi se, computato anche un nuovo campo di circa 20,000 uomini che si sta formando sull’Isonzo, restavano a Radetzky forze bastevoli per tentare un’invasione di qua del Ticino? Radetzky sn meglio del dottissimo generale Salasco il cattivo stato del nostro esercito; sa che la nobiltà piemontese non è più quella di una volta, valorosa, belligera, onorata, e che per la gloria del suo nome, del suo paese, del suo vessillo, del suo re, si faceva ammazzare sul campo di battaglia, piuttosto che recedere di un passo. Ma sa che, quanto l’aristocrazia ha degenerato, altrettanto si è migliorato lo spirito del popolo. Sa che nello stato sardo vi è ancora una riserva di uomini disciplinati, che fornisce un contingente di 50,000 uomini; che vi sono circa 300,000 guardie nazionali, e siano pure (colpa degl’ignavi nostri ministri) disorganizzate finché si vuole, elle offrono sempre una forza ragguardevole atta a difendere il paese, giacché il subalpino è soldato fin nel ventre di sua madre; ei sa finalmente che tutta la popolazione, al primo apparire di una bandiera austriaca, al solo nome di /limati, odiatissimo fin dai fanciulli, si sarebbe levata in massa, e gli avrebbe restituito quelle lezioni eh’ ei diede ai Salasco, ai Bava, ai Broglia, ai Lazzari e consorti. Vi aggiungi che bisognava assediare Alessandria, che Genova era un osso assai duro da masticare e di funesta ricordanza per gli Austriaci. Per fare un’aggressione al di qua del Ticino, vi vuole una forza disponibile di 50,000 uomini; e nel momento attuale Radetzky non l’ha. D’altronde, anche le sue truppe sono stanche, scemate, affralite e in bisogno di essere ordinate. Egli è sopra un paese nemico, di sei milioni d’abitanti, che esce pur ora da una rivoluzione, al quale, bene o mal condotta non importa, ha lasciato negli spiriti tutt’allri pensieri di quelli, che vi allignavano sei mesi fa. Gli armamenti, la guerra, la stampa, le fazioni, vi hanno prodotto effetti, che la forza militare non può comprimere in un giorno. Quindi una tregua, se era necessaria per noi, non Jo era meno pel nemico; se non che, le sue condizioni essendo migliori, ei poteva esigere compensi, ma le nostre non erano poi tali che dovessimo abbassarci all’ultimo avvilimento. Ammaestrato dalla capitolazione di Milano, che non può esser più disonorante, e conscio che coi caporioni della camariglia si può tutto °sare e pretendere, noi sappiamo che Radetzky chiese molto : ei chiese, c> si dice, l’abdicazione del re e la consegna d’Alessandria. Ma conve-