88 In diffidenza ingenerossi; l’unione sparì, e la forza con essa. L’hiìmico ingrossava, e le Provincie rimanevano neghittose; l’inimico minacciava, r le Provincie istupidivano; l’inimico invadeva, e non trovava che debili ostacoli al suo avanzamento. La Repubblica appena nata, divenne decrepita per nullità assoluta di chi dovea rinvigorirla; la Repubblica che non provvide alla propria salvezza, non potea por argine al torrente che irrompeva dall3 Isonzo. Quindi il distacco assoluto delle Provincie dì terra ferma; quindi necessità dì seguire l’esempio della Lombardia; quindi dichiarazione di fondersi col Piemonte onde trovare un probabile schermo alla loro rovina. Allora si conobbe la necessità assoluta deir abbandono dì un nome che sempre più dava esca alla disunione; allora questi Italiani che avrebbero sagrilicata la loro vita a guisa dei Codri, e dei Curzii per la conservazione della Repubblica, ne piansero la perdita, ma perorarono per la indipendenza e per l’unità. Pensarono che la Repubblica non potea reggersi che coH’unioue; pensarono che la Repubblica limitata alla sola città di Venezia era un’utopia; e che era stolto e sacrilego consiglio il volerla sostenere. Stolto, perchè senza i mezzi non si ottiene il fine; perchè isolata era debole, e potea esser facilmente inghiottita dalla voracità della prepotenza; perchè infine non potea ripromettersi un valido e sicuro soccorso. Sacrìlego, perchè l’isolamento di Venezia toglieva all’Italia quell’unione da cui soltanto può derivar la salvezza; perchè la sua debolezza potea aprire una porta all’invasione dei barbari; perchè infine potea dar causa a guerre e discordie cittadine. Sapeano che il piano della diplomazia stava nel dividere per comandare, sapeano che sciolto il fascio delle verghe, era facile la distruzione, e che tenutolo rannodato, forza umana non valea a frangerlo. Condotti da questi riflessi seppero i veri Repubblicani sacrificare le loro idee, i loro desideri! all’indipendenza, ed alla salvezza d’Italia. Ma all’incontro una frotta di que’cotali che nulla hanno da perdere, e che veggono il loro fiorente avvenire nei dissidii, nelle lotte e nell’anarchia, si fanno tutt’ora sostenitori della Repubblica di Venezia fra il volgo incapace a ben comprendere il significato della parola, ed aizzano la gente pacifica ai clamori, ed agli attruppamenti. Alcuni per pochi momenti circondati da un’aureola di boria, e che sotto il regime Repubblicano hanno empiuto l’esausto borsello, smaniano nel veder fuggir loro la vena di tanta miniera; altri collocati in alto a spalle dell’amorosa Repubblica, temendo un precipitoso tracollo, con mezzi leciti ed illeciti cercano di farla risorgere; altri alla penuria ridotti per pochezza d'animo, per imperizia o per pravità, vogliono collo scudo della Repubblica impoverire i ricchi e vestire la loro nudità ; altri infine, (e questi sono i più esecrabili) sotto il manto della Repubblica vogliono seminar la discordia per rendere più facile l’accesso al barbaro che ci circonda. \i sono alcuni repubblicani di cuore, ma questi son pochi; ma questi non tentano di far rivivere un nome che produsse tanta sventura; non si circondano di gente sospetta in ore e luoghi reconditi; non vanno nelle più fetide bettole a predicare, ma emettono sanamente e prudentemente la loro opinione. Oh diciamolo pure; quasi tutti i sedicenti Re-pubblicani d oggidì sono egoisti fin nel midollo, e per loro il nome di patria è un nome vano se non sanno conciliare con esso il personale in-