237 a rapirci in prigione. Cadde in man del popolo che da un pezzo scriveva stille pareti Morte ai Siccardi; e il popolo non gli torse un capello. Quel commissario Bolza, prò-londo ribaldo che da 3o anni è ¡1 terror del paese, ohe ordinò il fuoco o le bajonette contro inermi cittadini sia nel 1823, sia nel seitembre del e nel gennajo del /fi, passeggiava sicuro le vie della città, tanto che un vostro compatriotto disse a me: r> Voi Milanesi non riuscirete mai a nulla, non c’ è nemmanco un sicario tra voi «. Nella sommossa fuggì, abbandonando, come Torresani la famiglia, e questa fu rispetlata, corno quella d’altri siffatti. Poi quando esso Bolza fu scoperto, senza fargli vermi danno nella persona fu consegnato ai tribunali che ne giudicheranno. 71 Garimberii, suo collega, fu egli pare còlto e menato alla guardia, ma senz’altro che rinfacciargli la mutata vicenda. Un bravo giovane comasco, ebro della vittoria, chiedeva si concedesse il sangue di alcuni Croati prigionieri allo sdegno popolare; ma tutti unanimi gli risposero il no. E non sappiamo che una sola goccia di sangue siasi versala fuori del combattimento; si bene fu eseguita quella leggenda che vedeasi su tutti gli angoli » Vinceste, esultate, ma non contaminate sì bella vittoria colle atrocità «. Morte ai ladri leggevasi pure sulle nostre pareti e sulle barricate, ma davvero non un caso se ne verificò, benché gli ordini della Polizia e lo scompiglio inevitabile avessero scarcerati alcuni dei più pervertiti dalla Polizia stessa. Al contrario un Pietro Polli operajo trovò molto danaro presso un circondario della Polizia, e lo portò fedelmente. Casa V¡diserti, ove s’ era ricoveralo il Municipio, fu per più giorni aperta a tutto il popolo; e non un filo vi fu toccato; gli argenti, i mille ninnoli che oggi si espongono, rimaser intatti: un par d’occhiali d’oro rimasero sempre là sul ealamajo d’argento. Nel palazzo del Governo si buttò qualche mobile dalla finestra, si pestò un bel carrozzino del governatore, ma non si fe’saccheggio e pochi guasti; casseltoni pieni di danaro e di gioielli si apersero per cercarvi danaro o armi, ma non un bruscolo vi mancò. Nè danni si porlarono al palazzo e alla villa reale, il volgo più ineducalo mostrandosi meglio civile che non il viceré, fuggitone rubando. E rubando fuggì il direttore della posta, portandosi i gruppi di danari inviati per la posi a da privati, e facendoseli consegnar« dagli uffizj postali e dai corrieri lungo la turpe sua fuga. Solo agli armajuoli ed ai musei d’armi non si usò rispetto, come potete credere; ma si van restituendo quegli stromenti della vittoria. Un tornitore, colpito a morte, coll’estrema voce diceva :« Queste pistole le ho tolte dall’ officina del Calabrese : restituitegliele «. Durante ancora la battaglia, un giorno i Tedeschi finsero pace e seorreano le vie col fucile abbassato, e gli uffiziali a braccetto co’cittadini. La genie dalle finestre gettava monete alla truppa, e i monelli le raccoglievano, e religiosamente le davano ai soldati. A volgarissimi veniva esibito danaro, e rispondeano: « Noi non n’abbiamo bisogno: ci dia un tozzo di pane u, e quasi voleasi la forza per indurli ad accettare companatico. Nè il popolo ricco fece risparmio in que’ giorni; i IWromei per primi, i Litta, il Visconti, i Soncini, i Beccaria, i Raimondi e altri molli, distribuivano danaro ovunque occorresse, teneano pronto il mangiare e vini per chi passasse; e ai comitati, così generosi sostenitori della patria libertà, non lasciavano mancare qual somma si fòsse. Non era minore il coraggio passivo degl’inermi. Chiusi nelle case, senza comunicazioni, senza notizie, appena osavano affacciarsi al balcone per guardare sulla via fulminata dal cannone, percorsa da soldati, che tenendosi rasente al muro per paura dei tegoli, il fucile appuntavano contro le finestre. Ogni vano rumore diffondeasi, ora portando trionfi, ora spaventi. E se il nemico vincesse? quale sterminio de’valorosi, delle donne! E i mariti e i figli ch’erano sulle barricate, che ne fu? che ne sarà? Tremavano, ma non si scoraggiavano. Tra il fragor delle artiglierie preparavano bende e filacce pei feriti, cibi e vino pei combattenti, coccarde c bandiere pel trionfo. Erette che fossero le palancate, stanziavano sulla via, discorrendo, incoraggiando, narrando. Muniti di secchi e di coperte inzuppate, aspettavano le granate e i razzi incendiarj; e i fanciulli s'erano avvezzi a spegnerli: e delle palle di cannone faceansi trastullo. Pippo Landriani ne raccolse una, e 11 quando saranno cinque, giuocheremo al trucco «. Perocché non venivan meno le celie di mezzo al pericolo. Sovra le barricate mettasi talvolta un cappello alla calabrese; e tosto era uu fucilare dell’inimico per coglierlo; e i nostri a ridere della loro inesperienza. C '<• su il gallo, diciam noi in proverbio per indicare cosa impossibile : e perciò metteano dei galli sulle barricate, bersaglio ai colpi degli Austriaci. Altre volte era un fantoccio che si iacea scorrer avanti indietro della trincea, bersaglio ai colpi nemici. Qualche monello, cansatosi mentre si sparava,