262 derelitti una condizione almeno tollerabile. Imperocché, chi può erettore alla fede tedesca ? Chi può riposarsi nelle parole di un imperatore segnato dal marchio dell’imbecillità, e di un Governo suggellato da quello della perfidia? L’Italia del quindici sa quanto siano leali ed efficaci le promesse iitfsiriache; e la Gallizia, Milano, tutta la Lombardia e la Venezia del (^uarantasetté e del quarantaotto non ignorano quanto siano atroci le vendette imperiali e le rappresaglie. « Sbandiamo adunque il brutto pensiero di calare agli accordi col barbaro, finché egli possiede un solo palmo di terra italiana. Bisogna vincere o morire: ogni altro partito sarebbe indegno di noi, indegno della patria nostra, e non passerebbe senza nota di fellonia verso lo stesso principe. Testé leggemmo i suoi mirabili proclami, pieni di ardire, di coraggio, di confidenza e di nobile fierezza. Or chi oserà contraddire al volere espresso di un lanto duce? Chi rifiuterà d’imitare il suo senno e le sue virtù? Mentre egli si mostra intrepido e magnanimo sopra l’umana condizione, vorremo noi far prova di scoraggimelo e di codardia? E con che prò’? Crediam forse che Carlo Alberto consentirà di esser vile, perchè noi sarem tali? 0 da lui ci ribelleremo per aver l’arbitrio e il privilegilo dell’ignominia? Invece di far guerra al Tedesco, la faremo al nostro principe eroico, perchè egli non vuol discendere a patti infami col Tedesco ? « No, Torinesi, ogni concetto di questa sorte sarebbe follia. Il dado è gillato, e nessun uomo di onore si può trarre indietro. Bisogna, lo ripeto, vincere o morire; ma non morremo e vinceremo. Ce l’assicurano l’animo invitto del principe, la virtù dell’esercito, l’entusiasmo dei popoli, ìa santità della causa, Popinione di Europa; ce l’assicurano i provvedimenti del Governo, di cui vedrete in breve gli effetti. Non vi spaventino gli ultimi disastri o qualche nuovo infortunio, che possa succedere in questo frattempo; che a tutto si è pensato, e ad ogni sinistro avremo pronto il rimedio. Sapete qual è il maggior pericolo? Quello della sconfidenza e della discordia. Non è tempo di rissar fra noi e di lacerarci a vicenda, mentre dobbiamo unire le nostre forze contro il nemico. Torino c il Piemonte sono il polso principale della guerra; ma cerio non potrebbero adempiere il proprio utficio, se le gare e le rabbie civili annidassero nel loro seno. Ad accenderle mirano i retrogradi, suscitando gelosie, invidie, cupidigie personali e municipali, seminando il sospetto, nutrendo In diffidenza, risvegliando dissensioni sopile, fabbricando false novelle, spargendo velenosi scrini, e tentando di mettere Torino in discordia con Venezia, Milano e Genova. Torino avversa a Genova, a Milano e a Venezia-Gran Dio! E non è la prima di queste città, che porse Pesempio più eroico nel ripulsar lo straniero, e più magnanimo nello stringere il paM della fratellanza? Non è la seconda, che rinnovò ai di nostri i prodigi* della lega lombarda? Non è la terza che dava ultimamente alle offerte del barbaro una risposta degna dell’antica Roma? Cessino adunque i vagì di voler seminare la zizzania fra le quattro città emule e compaglie di virtù civile e di redenzione, dal cui connubio dipendono il buon successo della patria guerra, la fondazione del regno italico e l’ordinamento